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Effetto Expo nella «tana del lupo»

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il rilancio

Effetto Expo nella «tana del lupo»

Un miracolo a Milano Expo l’ha compiuto: per la prima volta nel mese di agosto si terranno, in piazza Diaz e sotto i portici meridionali del Duomo, i mercatini dei libri di antiquariato (la seconda domenica) e dei piccoli editori (l’ultima del mese). Per ritrovare simili iniziative è inutile cercare in rete: bisognerebbe recarsi all’Archivio di Stato e compulsare faldoni dell’Ottocento, quando in città passeggiavano Manzoni e Verdi. Ma una data sicura non è semplice trovarla.

A prescindere da polemiche e valutazioni, bisogna ammettere che Expo ha consentito a iniziative, teatri, musei e a non poche attività di evitare la consueta serrata d’agosto. Una parte della città – recita qualche cartello posto in evidenza – è “aperta per ferie”. Certo, non mancheranno saracinesche abbassate, né riduzioni dei mezzi di trasporto, tuttavia quest’anno agosto sarà meno lungo – per chi resta o per chi giunge in visita – grazie a coloro che non si sono arresi dandosi alla fuga estiva. Expo fa anche da medicamento per lenire un male che non caratterizza soltanto Milano ma molte città contemporanee, dove si abita ma non si vive; o, per dirla con un piglio deciso: si preferisce utilizzarle ma non appartenervi. E questo anche se l’Italia resta un Paese legato a campanili, interessi locali, tifo da stadio e a qualche manifestazione folkloristica: quelle che stanno morendo, o se la passano veramente male, sono le tradizioni. A Milano si registra ora, grazie ai flussi di Expo, una controtendenza delle indolenze estive: è un’opportunità che ci si augura non venga accantonata con la fine degli eventi. Lo scatto d’orgoglio Roma potrà forse trovarlo con il prossimo Giubileo: insomma occorre qualcosa di eccezionale anche nella capitale politica, oltre che in quella economica, per rivitalizzare iniziative e offrire opportunità.

Se si volesse diagnosticare il malessere con uno strumento della cultura, si potrebbe notare che in questi ultimi decenni si vendono sempre meno opere legate alla storia locale (poche eccezioni, come la Sicilia o qualche città del Sud, non riescono nemmeno con l’aiuto della rete a invertire la tendenza). Tali pubblicazioni non vanno sottovalutate, giacché da noi il genere lo inaugurarono i grandi storici di Roma antica e mai si smise di alimentarlo. Milano, per restare nell’ambito, diede al Paese già nel Settecento con l’eruditissimo Muratori un’opera immensa il cui titolo tradotto suona «Scrittori di cose italiane». Erano 28 volumi in folio. In essi lo studioso raccolse tutto quello che era possibile trovare di cronache, storie, diari, vite e altro per capire chi eravamo e le nostre caratteristiche (i tedeschi ci inseguirono con una iniziativa analoga, ma un secolo più tardi) . L’Italia dei campanili ebbe tradizioni dotte e antiche, diventata già nel Medioevo modello di modernità.

Se i librai lamentano la scarsezza delle vendite di opere serie legate alla storia delle singole città (in particolare gli antiquari), il fenomeno è qualcosa che va al di là della crisi economica che ci tormenta da qualche anno. C’è un disinteresse che nasce da una crisi di appartenenza, un allontanamento causato da un divorzio con noi stessi. Il “Made in Italy” nasce con le nostre radici, non l’abbiamo né copiato né importato.

Comunque non si pensi che tutto sia finito. Una flessione non è un crollo, una perdita può essere temporanea. Per esempio, Pietro Verri che lasciò tra l’altro anche una «Storia di Milano», vede da poco terminata l’edizione nazionale delle sue opere con la pubblicazione del volume degli «Scritti letterari, filosofici e satirici» (Edizioni di Storia e Letteratura). Il pensatore che combatteva contro l’utilizzo della tortura o scriveva pagine apprezzate in tutta Europa sul piacere e sul dolore, si dedicò anche alla sua città. Di più: da qualche giorno è in circolazione un libro singolare dal titolo «La bestia feroce» (pubblicato da Il Muro di Tessa di Milano). Lo scrisse un anonimo nel 1792. Racconta di una serie di morti violente avvenute nelle campagne intorno al capoluogo lombardo (anche dove ora c’è Expo) e si identificò l’assassino con una “bestia feroce”. Non si capiva però che animale fosse. Fu provvidenziale l’intervento di Cesare Beccaria: il vecchio filosofo fece scavare delle “fosse lupaie”. E non diede certo retta a chi suggerì di metterci un bambino per meglio attirare la belva. Il lupo si catturò comunque. Il libro rivela psicosi e paure, ricerche di fantasmi, errori. Sovente si ripetono. Anche oggi, pur con l’Expo al posto del lupo.

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