Commenti

Un governo pensato per l’Eurozona

  • Abbonati
  • Accedi
la grecia e il futuro della ue

Un governo pensato per l’Eurozona

I guai della Grecia porteranno alla fine dell’unione monetaria europea oppure metteranno in luce come la si dovrebbe salvare? Il recente controverso accordo di bailout – da alcuni equiparato al Trattato di Versailles del 1919, con la Grecia nella parte della Germania – offre l’ultimo colpo di scena a sorpresa della saga esistenziale della zona euro.

L’accordo ha provocato una frattura in Syriza, il partito di sinistra al governo in Grecia; ha determinato una rottura tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il suo inflessibile e rigoroso ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble; e ha dato slancio allo sforzo da parte della Francia di riaffermare la propria importanza nell’ambito dell’asse franco-tedesco, da sempre il “motore trainante” dell’integrazione europea.

Nel frattempo, molti economisti americani di scuola Keynesiana, come i premi Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz, simpatizzano con la posizione anti-austerità assunta dalla Grecia. Altri economisti, per lo più europei, sostengono che la Germania debba assumere un ruolo politico confacente al suo dominio economico e che debba accettare programmi di condivisione della sovranità (e degli oneri) per garantire coesione e sostenibilità all’unione monetaria. Umiliare un piccolo paese e ridurlo allo status di un protettorato virtuale non serve gli interessi a lungo termine dell’Europa.

Eppure, proprio questo c’è in gioco oggi. La Grecia ha firmato un accordo dopo essersi vista presentare l’invito esplicito da parte di Schäuble ad abbandonare la zona euro – si presume solo temporaneamente – e a adottare una nuova valuta. La posizione della Germania ha segnato la prima sfida aperta lanciata da una potenza europea di primaria importanza al concetto dell’irrevocabilità dell’unione monetaria. Come hanno subito fatto notare i francesi – istintivamente portati a una maggiore comprensione nei confronti della tesi dell’anti-austerità e sempre più consapevoli del loro ruolo di secondo piano nel partenariato tra Francia e Germania – la posizione assunta dalla Germania preannuncia anche un possibile passaggio da una “Germania europea” a un’ “Europa tedesca”.

Di sicuro, non ha giovato il fatto che i negoziati tra la Grecia e i suoi creditori abbiano generato una crescente sfiducia nelle capacità e nelle intenzioni di Syriza. Tattiche negoziali ambigue e scriteriate, abbinate a schemi segreti per prepararsi – nell’ambito di un “Piano B” – a un’uscita dall’euro, hanno arrecato grave danno all’affidabilità del governo, portando perfino Paul Krugman ad ammettere: “Potrei aver sopravvalutato le capacità del governo ellenico”.

Eppure, a prescindere da quanto sia complicato il gioco dello scaricabarile, dall’accaduto si possono ricavare alcuni insegnamenti, utili a guidare la politica in futuro. Quando la cattiva condotta fiscale di un paese come la Grecia, che rappresenta non più del due per cento del Pil della zona euro, arriva a creare seri rischi per la sopravvivenza dell’unione valutaria, indubbiamente c’è qualcosa che non va. Tuttavia, per applicare e far rispettare le regole della zona euro, il rimedio sta in provvedimenti più severi – per esempio sanzioni più pesanti o addirittura lo sfratto – oppure in un emendamento obbligato delle regole stesse, per tener conto delle situazioni contingenti assai variabili dei suoi stessi membri?

Finora una corretta applicazione delle regole non c’è stata, a causa delle falle presenti nelle fondamenta stesse della zona euro. Prima di tutto, per garantire stabilità finanziaria e sostenere la valuta comune è indispensabile tenere in ordine il saldo di bilancio e dei conti con l’estero. Secondo, rimuovere gli squilibri è responsabilità dei governi nazionali nell’ambito di un regime di soccorso predisposto da enti sovranazionali – la Commissione Europea e la Banca centrale europea – in collaborazione con il Consiglio Europeo, che a sua volta rappresenta i governi nazionali.

La saga della Grecia mostra che questo sistema non riesce a tenere del tutto sotto controllo gli squilibri destabilizzanti e con rapidità sufficiente a scongiurare e allontanare le crisi più importanti. Gli squilibri sono non soltanto il risultato di politiche irresponsabili: di fatto, possono riflettere debolezze più profonde nelle strutture economiche, quali una carenza di competitività o lacune istituzionali. Se la Germania insiste sulla responsabilità nazionale, potrebbe scoprire che far rispettare le regole significherà diventare ancora più inflessibili, e alla fine ciò porterà a tali tumulti sociali e politici che l’intero edificio europeo crollerà.

L’alternativa è abbracciare un’“unione dei trasferimenti di fondi” che garantisca un equilibrio maggiore tra solidarietà e responsabilità. Gli Stati Uniti incarnano una soluzione di questo tipo, e garantiscono un modello integrato di sviluppo in tutto il paese. La zona euro deve rafforzare le sue strutture fiscali affinché possano reagire alle condizioni economiche d’insieme pur tenendo in considerazione le circostanze particolari e diverse di ciascun paese membro. Queste strutture più forti dovrebbero permettere trasferimenti limitati di risorse tra i paesi della zona euro, o per attuare politiche anticicliche o per integrare la spesa per gli investimenti, soprattutto nelle infrastrutture economiche e sociali.

Ciò, però, deve necessariamente implicare la creazione di un budget separato per la zona euro, e il trasferimento delle competenze dalle autorità nazionali a quelle sovranazionali. Dovrebbero far parte di questa nuova struttura il regime fiscale comune e gli eurobond, mentre il Meccanismo europeo di stabilità dovrebbe prevedere un fondo di rimborso del debito, grande a sufficienza da risolvere le crisi del debito sovrano. Al contempo, l’unione bancaria, voluta dall’Ue all’indomani della crisi finanziaria globale del 2007-2008, dovrebbe essere rafforzata allargando la base di capitale del Fondo di risoluzione unico e predisponendo uno schema garantito di deposito comune.

Tutto ciò presuppone che i poteri delle istituzioni sovranazionali dell’Unione europea, il Parlamento Europeo e la Commissione Europea, siano significativamente ampliati. La Commissione dovrebbe diventare un governo vero e proprio, con un presidente eletto dal popolo. Si dovrebbe poi creare un ministero europeo delle Finanze, il cui capo dovrebbe presiedere l’Eurogruppo (del quale fanno parte i ministri delle Finanze degli stati membri della zona euro).

L’assemblea speciale del Parlamento Europeo, comprendente i membri della zona euro, dovrebbe avere, su modello di un parlamento nazionale, il potere legislativo e il controllo dell’esecutivo.

Queste proposte susciteranno sicuramente parecchie critiche, e non solo da parte degli euroscettici. Tuttavia, orientarsi verso l’integrazione fiscale e politica è il prezzo che l’Europa – a cominciare dalla zona euro – dovrà pagare per mantenere la sua unità e la sua influenza globale. L’alternativa è un’applicazione contraddittoria (se non addirittura arbitraria) delle attuali normative, che provocano divisione tra gli stati membri e potrebbero portare alla disintegrazione.

(Traduzione di Anna Bissanti)

Yannos Papantoniou è stato Ministro dell’Economia della Grecia tra il 1994 e il 2001

© Riproduzione riservata