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Passi avanti, ma la vera sfida è sulla durata delle cause

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L’ANALISI

Passi avanti, ma la vera sfida è sulla durata delle cause

Dopo decenni di buio, spiragli di luce. Induce a un millenarismo alla rovescia la riflessione sui dati pubblicati dal Sole 24 Ore del Lunedì sulla giustizia civile. Non sarà la fine del mondo, ma, forse, è la fine di un mondo, quello di un processo le cui inefficienze venivano addebitate anche, se non sopratutto, allo stock di cause arretrate da smaltire, vero debito pubblico dei tribunali. Una sorta di fatalismo ha per troppo tempo rallentato le prospettive di cambiamento. Adesso prende invece corpo una realtà che vede molti tribunali in grado di smaltire un numero di procedimenti superiore a quello in ingresso.

Segnale questo di un miglioramento delle capacità dell’amministrazione giudiziaria certo, almeno nella misura in cui lo smaltimento dell’arretrato in percentuali significative è diventato elemento per la valutazione dei capi degli uffici e sono stati messi a disposizione (ancora troppo esigui) premi di risultato, ma anche di una contrazione del numero di procedimenti sopravvenuti ogni anno. In altre parole, è la domanda di giustizia che si contrae e in questo non è difficile vedere l’agire di più fattori, del tutto esterni al sistema giustizia, come la perdurante crisi economica che può far sembrare assai meno attraente l’avvio di una controversia, e altri invece interni, segno caratterizzante e di continuità nelle politiche della giustizia di questi anni.

Il riferimento è allora alle tante misure messe in campo per impedire che un buon numero di controversie sbarchi in tribunale, dall’incremento del contributo unificato o dalla sua istituzione per tipologie di cause che ne erano esenti, alla creazione di un circuito alternativo alla giurisdizione classica per la soluzione di liti ad alto impatto, almeno numerico, per i tribunali. Dalla conciliazione, più volte ritoccata certo, alla negoziazione assistita, passando per gli arbitrati di nuovo conio, ha assunto ormai una fisionomia precisa una forma di giurisdizione che sarebbe forse azzardato definire privata, ma che certo si pone su un piano diverso, preliminare, rispetto a quella amministrata nelle aule dei tribunali.

A tutto questo si aggiunge poi la strategia del ministero della Giustizia, che punta non solo e non tanto alla riduzione dell’arretrato, quanto piuttosto all’eliminazione di quello di maggiore vetustà, strategia messa a punto sulla falsariga del modello Torino, dal capo dell’Organizzazione giudiziaria Mario Barbuto. Di questa strategia, peraltro scandita da obiettivi di medio periodo, sarà significativo valutare gli esiti tra qualche mese; intanto però i dati testimoniano che il sistema sta comunque dimostrando buone performance, confermando quanto testimoniato in sede europea sulla produttività dei magistrati italiani.

Certo, considerazioni più analitiche dovrebbero essere fatte sulla scomposizione del contenzioso, dove luoghi comuni diventano realtà evidenti, come la concentrazione delle controversie di natura previdenziale in alcuni uffici giudiziari del Meridione; tuttavia va anche sottolineato come il legislatore, negli ultimi anni, abbia provato a delineare una giustizia più attenta anche alle necessità dell’economia, con l’istituzione dei tribunali delle imprese, certo, ma anche, ed è cronaca di questi giorni, riservando ai procedimenti fallimentari una corsia preferenziale nella trattazione.

Tutto bene allora? Non proprio, perché da affrontare c’è una sfida altrettanto impegnativa, quella della durata delle cause: in questo caso i dati testimoniano di una difficoltà persistente alla risoluzione in tempi ragionevoli dei processi. Al di là di quanto opportuno in termini di rispetto della legge Pinto, è anche su questo parametro che si giocherà il successo di quella riforma della giustizia civile più volte annunciata dal tandem Renzi-Orlando.

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