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Tre «aiuti» che da soli non bastano alla ripresa

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EURO, TASSI E PETROLIO

Tre «aiuti» che da soli non bastano alla ripresa

Il “cosa ci aspetta al ritorno dalle vacanze?” è un classico della settimana di Ferragosto. Per un grande giornale come Il Sole 24 Ore, che deve avere una visione mondiale e tenendo presente che nell’emisfero Sud (dove vive chi scrive) agosto è un mese invernale, è lecito scrutare oltre l’orizzonte dell’estate boreale.

Parlando di emisferi, c’è un altro modo di dividere il mondo: fra Paesi emersi e Paesi emergenti. Il che offre il destro per disvelare due grossi cambiamenti che simboleggiano il rimescolìo dei rapporti di forza nell’economia mondiale. C’era un tempo in cui i Paesi emersi – diciamo, i Paesi cosidetti occidentali più il Giappone – guardavano ai Paesi emergenti con la bonomia condiscendente di un genitore che vede crescere i suoi pargoli, bravi o cattivi che siano. Ma oggi i pargoli sono più grossi dei genitori: i Paesi emergenti coprono ormai più della metà del Pil mondiale e per guardare, come si diceva prima, oltre l’orizzonte, è da lì che bisogna incominciare.

Il secondo cambiamento riguarda la Cina. I dati 2014 sono ormai disponibili per tutti i Paesi, e per la prima volta nel dopoguerra la Cina è diventata la più grande economia del mondo, superando di un’incollatura gli Stati Uniti (le stime concordi di Fmi e Banca mondiale fanno uso dei cambi a parità di potere d’acquisto, più significativi, per confrontare la stazza delle economie, dei cambi di mercato).

Naturalmente a noi interessano soprattutto gli orizzonti del dopo-estate per l’economia italiana. Cominciare dall’economia mondiale vuol dire prendere le cose alla larga? No: le palle al piede della nostra economia sono così pesanti da rendere una ripresa impossibile senza la spinta che viene dal resto del mondo.

Fortunatamente questa spinta c’è, e non tende ad affievolirsi oltre misura. Molte preoccupazioni sorgono nei mercati dal rallentamento cinese. Tuttavia, proprio la misura di quell’economia offre un’utile riflessione. Fino a pochi anni fa la Cina cresceva del 10% (e più) l’anno. Ora rallenta al 6-7 per cento.

Ma anche se il tasso di crescita scendesse al 5%, un 5% del Pil cinese 2015 è più del 10% del Pil cinese di dieci anni fa. In valore assoluto, il contributo alla crescita mondiale della Cina continua a essere consistente.

Molti anni fa un fortunato acronimo – Bric: Brasile, Russia India e Cina – venne a simboleggiare le punte di diamante degli emergenti. Oggi l’acronimo vede grosse divergenze fra i “quattro grandi” (o cinque: Bric è divenuto Brics, con l’aggiunta del Sudafrica). Mentre la Cina, come detto, sta rallentando (e il rallentamento finora è non solo fisiologico, ma auspicabile), Brasile e Russia vedono regredire il Pil del 2015. L’India invece accelera e il “Made in India” viene sostituito, a titolo di slogan, dal “Make in India”: un invito a investire nel sub-continente indiano e a produrre in loco. Ma nell’insieme gli emergenti vedono quest’anno una crescita ancora sostenuta: +4,2%, che passa al +4,7%, secondo le ultime previsioni del Fondo monetario, nel 2016. Il tasso di espansione è nettamente più alto rispetto a quello dei Paesi avanzati (+2,1% quest’anno, +2,4% l’anno prossimo).

Questi dati non sembrano in sintonia con i percorsi delle Borse, se si vuole accordare ai mercati azionari il ruolo di anticipatori degli andamenti economici: dall’inizio dell’anno le Borse “emerse” sono andate crescendo di più di quelle “emergenti”. Ma i prezzi di Borsa guardano a quelle che in matematica si chiamano le “derivate seconde”: guardano non tanto ai tassi di crescita, quanto ai rallentamenti o alle accelerazioni. Dato che i Paesi avanzati accelerano (dall’1,8 al 2,1%, dal 2014 al 2015), mentre gli emergenti rallentano (dal 4,6 al 4,2% negli stessi anni), i primi vengono premiati rispetto ai secondi.

Se guardiamo più vicino a noi, vediamo che gli Stati Uniti continuano a crescere, a creare posti di lavoro e a importare dal resto del mondo (nei primi sei mesi di quest’anno le nostre esportazioni verso gli Usa sono aumentate del 27%), mentre l’Eurozona, se pure meno dinamica rispetto all’altra sponda dell’Atlantico, si è installata su un sentiero di crescita moderata. Gli indicatori congiunturali dell’Italia continuano una discrasia che dura da tempo: buoni quelli – qualitativi – basati sulla fiducia, deludenti quelli quantitativi, dalla produzione all’occupazione. Ma, volente o nolente, l’economia italiana si sta accodando a quel sentiero. I mini-tassi, il mini-petrolio e il mini-euro continuano ad aiutarci. Ma le magagne strutturali – dalle infrastrutture alla scuola, dalla pubblica amministrazione alla scarsa coesione sociale – rimangono. Le riforme soccorrono, anche se l’iter è faticoso. E il passaggio dall’annuncio all’approvazione è meno importante del passaggio dall’approvazione all’applicazione. Ed è su questo snodo che l’economia italiana si giocherà la capacità di agganciare una ripresa duratura.

fabrizio@bigpond.net.au

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