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Il coraggio eretico che oggi serve al Paese

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l’anniversario della nascita

Il coraggio eretico che oggi serve al Paese

L'11 agosto 1892 nasceva Giuseppe Di Vittorio, uno degli esponenti più autorevoli del sindacato italiano del secondo dopoguerra. Per ricordare l'importanza di questo protagonista della storia del paese vi proponiamo un estratto del libro “Nuovo Viaggio in Italia” in cui il Direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano lo annovera, insieme a De Gasperi, Menichella e Vanoni, tra le figure dimenticate dell'Italia da ritrovare.

«Lo voleva bene pure le pietre, non saccio come ha fatto a morì». «Mi sono permesso anche di contare le corone, centoventi corone. Centoventi corone e un’ottantina di cuscini». Voci di Cerignola, nel giorno dell’addio a Giuseppe Di Vittorio, si mescolano i dialetti per le strade di Roma e “gridano” insieme stupore e amore. Si percepisce l’affetto dei braccianti vecchi e nuovi, la sua cafoneria, il trasporto di tutti verso un uomo che «invece di dormire cominciava a studiare con il lumino». Scorrono le sequenze di uno specialissimo ducumentario, firmato Carlo Lizzani e Francesca Del Sette, dedicato a Di Vittorio, davanti alla figlia Baldina, la nipote Silvia Berti e un presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, molto presi, nel salone dell’Archivio centrale dello Stato a Roma. Sono lì con Fabrizio Barca, Piero Craveri, Guglielmo Epifani e Umberto Ranieri per presentare il volume Crisi, rinascita, ricostruzione. Giuseppe Di Vittorio e il Piano del lavoro (1949-1950), e mi sono rimaste dentro la forza del carattere e il coraggio delle idee di un uomo che appartiene all’album (più bello) della tradizione civile dell’Italia uscita dalle macerie della guerra.

Un bracciante, figlio di bracciante, chiamato alla guida della federazione del sindacato mondiale, ma soprattutto il primo sindacalista italiano non ideologico a chiedere, da comunista, ai suoi lavoratori di fare nuovi sacrifici e di stringere un patto con i produttori, dentro le logiche del capitalismo, per conquistare una prospettiva di crescita stabile e non assistenziale. Questo era il senso (politico) del suo Piano del lavoro e questa resta la (sua) traccia nella storia del sindacato italiano: la capacità di guidare il mondo del lavoro sul sentiero dell'innovazione, abbandonando la scorciatoia della comoda difesa degli interessi a breve. Silvia Berti mi guarda e dice: «Si può e si deve fare anche oggi, ci vuole coraggio, ma guai se mancasse».

Il coraggio di fare i conti con la pesantezza della crisi e di cercare strade nuove. Riguarda il sindacato, ma anche il mondo della produzione, la politica, la società civile e la classe dirigente (tutta) del Paese. Nessuno si può chiamare fuori. Servirebbe la tempra che fece dire a Di Vittorio sì alla Cassa per il Mezzogiorno e no all'invasione dell'Unione Sovietica in Ungheria polemizzando tutte e due le volte con il Pci e Togliatti. Gli piacevano le triglie fritte e pretendeva che si mangiassero con le mani, la gente sapeva che di lui si poteva fidare.

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