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La 'ndrangheta «fantasma» della Germania

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ricordando la strage di duisburg

La 'ndrangheta «fantasma» della Germania

L'ultima traccia della ‘ndrangheta sui media tedeschi è del 7 luglio scorso. Dalla «Bild» al «Der Spiegel» tutti hanno riportato, rigorosamente senza commenti, gli arresti sul lago di Costanza di otto presunti mafiosi. All'opera i reparti speciali della polizia tedesca e gli investigatori calabresi. L'ufficio del procuratore generale di Karlsruhe sì è affrettato a dire che si tratta di presunti membri della 'ndrangheta compresi tra i 40 e i 69 anni. Mentre la notizia circolava, in alcuni appartamenti del Baden-Württemberg, regione nella quale la presenza mafiosa italiana è ormai datata, la polizia sequestrava un fucile a pompa, pistole, revolver e munizioni.

Quella notizia era la “coda” di quanto accaduto sull'asse con Reggio Calabria dove la Procura, con l'operazione «Rheinbrücke» (Ponte sul Reno), aveva emesso una misura cautelare in carcere per 10 persone, tutte ritenute affiliate alle 'ndrine di Fabrizia, radicate tanto nel paese sulle serre vibonesi quanto in Germania, nelle città di Singen, Rielasingen (al confine con la svizzera), Ravensburg ed Engen, a vario titolo accusate di associazione mafiosa e concorso esterno, aggravate dalla transnazionalità.

Tensioni sul confine svizzero
Rheinbrücke è una prosecuzione dell'operazione «Helvetia» e, come la precedente, conferma che il “modello” 'ndrangheta è stato esportato in altre nazioni clonando la struttura tradizionale delle cosche calabresi. Pur godendo di una certa autonomia, i “locali” e le “società” esistenti all'estero mantengono legami molto forti con i vertici delle 'ndrine in Calabria, tanto che ogni decisione che riguarda strutture e gerarchie necessita del beneplacito degli “organi direttivi” nella terra d'origine. Gli inquirenti hanno anche ricostruito i contrasti esistenti sul confine svizzero-tedesco, in particolare tra le 'ndrine di Singen e Frauenfeld (Svizzera). Proprio a Singen era attivo un “locale” che avrebbe stretti legami sia con la “società” di Rosarno che con il “crimine” di San Luca. Il “locale” svizzero di Fraeunfeld, invece, sarebbe capeggiato da un altro fabriziese.

L'escamotage della transnazionalità
L'aggravante della transnazionalità è stato l'escamotage tecnico-giuridico che ha permesso ai magistrati della Dda di Reggio Calabria di vincere le resistenze della Germania, che non contempla il reato di associazione mafiosa. «Abbiamo avuto non poche difficoltà a convincere la magistratura tedesca e la Bka della necessità di approfondire gli elementi che noi avevamo tratto dalle conversazioni registrate in una bocciofila» ha sottolineato il procuratore aggiunto Nicola Gratteri, mentre il procuratore capo, Federico Cafiero De Raho ha aggiunto: «Nonostante questa indagine dimostri come la 'ndrangheta sia ormai presente a livello internazionale, all'estero non c'è ancora consapevolezza sulla necessità di portare il contrasto oltre i confini italiani». Quella notizia appare una mosca bianca nel panorama dei media tedeschi che continuano ad affrontare con distacco il peso dell'economia criminale straniera. Persino la Bundeskriminalamt, vale a dire la Polizia Federale, analizza il fenomeno con anni di ritardo che, tradotti con le dinamiche economiche e finanziarie mafiose, appaiono distanze siderali. L'ultimo rapporto è del 2012 e quantifica indirettamente un fatturato per le organizzazioni criminali di 1,1 miliardi di euro. Saranno anche percentuali “zero,” rispetto al Pil tedesco ma si tratta pur sempre del 30% in più rispetto al 2011, quando il giro di affari si fermò a circa 884 milioni. I tedeschi, però, appaiono sollevati dalla notizia perché, si legge a pagina 9, «contrariamente all'anno precedente, le più alte perdite non sono state causati dalla criminalità associata al mondo delle imprese, ma da evasione tributaria e reati doganali». Del resto, si legge appena tre pagine dopo, «la percentuale di gruppi che hanno un potenziale di criminalità organizzata relativamente elevato, per anni è stato relativamente basso».

Il potenziale criminale
Perché non brindare anche al fatto che, tra i gruppi organizzati, tedeschi a parte, il potenziale criminale degli italiani, secondo il rapporto 2012 della Bka, che ha studiato il fenomeno con Landeskriminalämter, Zollkriminalamt e Bundespolizeipräsidium (vale a dire gli altri presidi istituzionali), è inferiore a quello dei vietamiti, dei lituani, dei russi, dei turchi e leggermente superiore a quello dei polacchi?

Infine la ciliegina sulla torta: il numero di gruppi criminali dominati dai cittadini italiani (22) è sceso del 24% rispetto al 2011 (erano 29). La loro specialità? In ordine il traffico di droga (soprattutto cocaina) e il contrabbando di auto, evasione fiscale, contraffazione, reati patrimoniali, traffico d'armi e riciclaggio.

Eppure l'8 gennaio 2013, nel corso di un incontro a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) Jörg Ziercke, all'epoca presidente della Bka (carica coperta fino a novembre 2014), sembrava pensarla diversamente. «La metà dei gruppi criminali identificati in Germania – disse – appartengono alla 'ndrangheta. È il maggior gruppo criminale sin dagli anni '80. In confronto ad altre associazioni presenti in Germania, gli italiani hanno ancora la più forte organizzazione».

E se nel 2009 la Bka aveva censito 229 clan sul territorio tedesco, con 967 affiliati di cui 206 provenienti da San Luca, nel 2014 «Der Spiegel» pubblicava i dati della stessa Bka, che faceva lievitare il numero complessivo dei presunti membri delle quattro mafie italiane a 1.200, perlopiù concentrati, oltre che nel Baden-Württemberg, in Renania Settentrionale-Vestfalia, Baviera e Assia.

La strage di Duisburg del 2007
Difficile non trovarsi di fronte ad una schizofrenia interpretativa in un Paese che non riconosce il reato di associazione mafiosa e che, nonostante l'anniversario della strage che il giorno di Ferragosto 2007 a Duisburg (città di 492 mila abitanti nel Land del Renania Settentrionale-Vestfalia) lasciò sul selciato di una pizzeria sei persone nell'eterna faida di potere nell'aspromontana San Luca, continua a sottovalutare la capacità con la quale la 'ndrangheta si incunea in terra tedesca. Proprio il disallineamento normativo appare l'ostacolo (comune al resto d'Europa e del mondo) insormontabile per una reale lotta alle mafie italiane oltrefrontiera.

Il 31 luglio 2012 Carlo Caponcello, sostituto procuratore nazionale antimafia, nel corso della sua audizione alla Commissione parlamentare antimafia rispondendo alle domande dei commissari affermò che «i tedeschi hanno una cultura giuridica diversa dalla nostra e non ha come principale momento, come punto nodale, la criminalità organizzata. Gli studi fatti da una giovane studentessa che ha avuto rapporti con l'associazione “Mafia? Nein Danke!”, elaborando dei dati ottenuti intervistando soggetti di diversa provenienza, dimostrano come la percezione del fenomeno mafioso e della sua invasività in Germania sia limitata. Sono stato anche invitato da “Mafia? Nein Danke”. Certo, i numeri sono quelli che sono, hanno 50 o 55 iscritti. Non voglio parlare di un risveglio, perché il risveglio presuppone ontologicamente che ci si sia addormentati e io credo che i tedeschi non si siano mai addormentati. Credo che forse abbiano guardato le cose con un pragmatismo eccessivo. Sì, con queste organizzazioni si convive. Io però ho avuto l'impressione che un po' si conviva con questa realtà».

Come dire: tutto il mondo è paese. Ma di mezzo c'è la 'ndrangheta. Quella che spara e quella con i colletti bianchi. In Italia, in Germania, nei cinque continenti.
Guardie o ladri

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