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La fermezza tedesca su regole e debito

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La fermezza tedesca su regole e debito

Un tratto persistente – per non dire il leitmotiv – del modo che hanno i leader tedeschi di affrontare la questione dell’Eurozona è la loro insistenza sull’importanza di seguire le regole. E a intercalare quel ritornello, c’è il coro del resto dell’Unione monetaria che vuole capire perché la Germania stia mostrando il pugno di ferro. La risposta rispecchia il modo in cui il sistema federale tedesco ha strutturato il suo processo decisionale, oltre all’esperienza della storia tedesca con le crisi di debito.

L’ossessione tedesca per le regole ha origine molto prima dell’attuale crisi dell’Eurozona. I politici tedeschi hanno sempre sostenuto con insistenza che l’Europa non avrebbe potuto avere una moneta comune senza prima raggiungere la convergenza economica, ma sembrava che questo non sarebbe mai potuto accadere. Così, negli anni 90, quando l’Eurozona era in cantiere, la Germania chiese l’applicazione rigorosa dei “criteri di convergenza”, requisiti necessari per adottare l’euro.

Il loro atteggiamento dipendeva in parte dalla struttura politica della Germania. Più è federale un sistema di governo, più regole ci vogliono per garantirne il buon funzionamento. Quando le responsabilità dei diversi livelli di governo non sono chiaramente definite, c’è il pericolo che i problemi vengano scaricati sui livelli più alti, e per evitarlo, le federazioni adottano spesso un approccio legalista. Infatti, esiste una forte correlazione storica tra i sistemi federali che funzionano bene e una politica monetaria stabile, sostenuta da regole chiare. Alla fine del XX secolo, Svizzera, Germania e Usa – tutti Paesi federali – sono stati pionieri nell’applicare una politica monetaria orientata sulla stabilità. Essendo l’Eurozona strutturalmente federale sotto diversi aspetti, un chiaro impegno a rispettare le regole era un requisito indispensabile alla sua riuscita, secondo la Germania.

A dire il vero, anche i tedeschi sanno che a volte le regole hanno bisogno di essere trasgredite. Già pensatori antichi come Aristotele avevano osservato che le regole non funzionano se sono troppo rigide. Nell’Etica nicomachea, Aristotele raccontava come gli scultori dell’isola di Lesbo utilizzassero regoli fatti di piombo, un metallo più malleabile del ferro, per scolpire le linee curve nella pietra. Il regolo che si adatta alla configurazione della pietra fungeva da metafora per spiegare la necessità di adattare le leggi alle circostanze in mutamento. Ma quando si tratta di debito, i tedeschi insistono nell’usare il più rigido dei regoli.

La lezione che la Germania ha tratto dalla sua storia è che il debito non ammette flessibilità. Il che sorprende gli opinionisti americani, che hanno accusato la Germania di ipocrisia, essendosi trovata lei stessa in una situazione debitoria nel 1923, nel 1932-’33, nel 1945 e nel 1953, e adesso esorta gli altri a comportarsi diversamente. La verità è che per la Germania quasi tutti quei default sono stati destabilizzanti. Il debito interno del 1923 aveva condotto all’iperinflazione, indebolito il sistema finanziario e contribuito a portare alla Grande depressione. Il default dei primi anni Trenta è diventato inevitabile quando la Germania non ha potuto accedere ai mercati privati dei capitali e il Paese ha perso la fiducia nel futuro. E invece di una ripresa economica sostenibile, la deflazione e il debito hanno alimentato la fiamma del nazionalismo, con effetti disastrosi. Il debito di guerra tedesco del 1945 era la conseguenza della sconfitta subita. Infatti, la tradizione dell’ordoliberalismo che ha caratterizzato la politica economica del dopoguerra in Germania, era una risposta all’arbitrio distruttivo del nazismo. Solo la cancellazione dei debiti di guerra nel 1953 è vista in una luce positiva in Germania e, se ci si sofferma sulle circostanze in cui si è verificata, si capisce l’atteggiamento tedesco nei confronti della crisi dell’Eurozona. Come ha dimostrato l’economista di Yale Timothy Guinnane, quello che era stato condonato non era il debito principale, bensì gli interessi arretrati accumulati che non erano stati pagati tra la Grande depressione e la Seconda guerra mondiale.

Dalla prospettiva tedesca, era stato più importante il contesto politico in cui erano avvenuti i negoziati: c’era stato un netto cambiamento di regime in Germania. Gli Alleati che avevano vinto la guerra avevano sconfitto i responsabili delle politiche distruttive e destabilizzanti del passato, offrendo al Paese l’occasione di voltare pagina e ai suoi debitori la fiducia verso un nuovo corso tedesco. Inoltre, i nuovi politici tedeschi avevano dato prova di serietà finanziaria. Nel 1950, il Paese aveva attraversato una grave crisi della bilancia dei pagamenti: qualcuno chiedeva controlli sul capitale, ma il governo scelse l’austerità monetaria.

Quell’esperienza spiega un’altra delle ossessioni della Germania: le riforme dei Paesi debitori. La Germania aveva dovuto cambiare radicalmente il suo regime interno per uscire dalla spirale di debito e default. Nel caso dell’Eurozona sarebbe stato chiedere un po’ troppo, ma senza un radicale riorientamento nella politica del Paese, secondo la Germania, la cancellazione del debito resterà soltanto un futile esercizio.

(traduzione di Francesca Novajra)

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