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I paradossi democratici sulla strada dell’euro

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da berlino ad atene

I paradossi democratici sulla strada dell’euro

Che sia di un paese maggiore o minore, di destra o di estrema sinistra, monocolore oppure una grande o piccola coalizione, quando l’Europa gli entra in casa oggi un Governo rischia troppo spesso lo sconquasso interno. E a pagarne lo scotto peggiore è l’Europa stessa, che o galleggia in uno stato di perenne incertezza o rischia di finire in pezzi. Maledizione del 21mo secolo globale e/o vizio congenito dell’euro senza un popolo, che continua a viaggiare in apnea politica?

Di tutto un po'. Di sicuro in queste bollenti settimane d'agosto colpisce il parallelismo paradossale della dinamica democratica in Grecia e in Germania: da una parte il paese più potente e virtuoso, dall’altro il più disastrato e vizioso, un leader forte e consumato come Angela Merkel, 10 anni al potere e tuttora popolarità alle stelle, e un premier giovane, improvvisato e garibaldino come Alexis Tsipras, a sua volta armato di un consenso popolare sopra il 60% nonostante il clamoroso voltafaccia sulle promesse elettorali anti-rigore.

Angela ha stravinto nel braccio di ferro con Atene. Alexis ha dovuto capitolare per evitare Grexit e poi ottenere a carissimo prezzo - il commissariamento totale del suo paese - il terzo salvataggio da 86 miliardi di euro. L’approvazione del parlamento ellenico è arrivata immediata e abbondante, 222 sì contro 64 no e 11 astenuti, ma Tsipras ha dovuto ricorrere ai voti dell'opposizione: Syriza, il suo partito, si è spaccato, medita la scissione in vista di probabili elezioni anticipate.

Nonostante le condizioni draconiane imposte e accettate da Atene e il generale riconoscimento in Europa del suo nuovo atteggiamento costruttivo, la Merkel domani al Bundestag potrebbe incassare la peggior sconfitta politica del suo decennio al potere: il pacchetto greco sarà approvato grazie ai voti dei partner socialdemocratici e dell'opposizione verde ma i ribelli dentro il suo partito, la Cdu-Csu, rischierebbero addirittura di raddoppiare da 60 a 120 deputati.

Apparentemente, dunque, l’aver scongiurato la peggior crisi dell’euro e il probabile inizio della sua fine non rappresenta né per Tzipras né per la Merkel un automatico titolo di merito nei rispettivi partiti, ma un viatico certo per un’umiliazione parlamentare. Per il premier greco, costretto a distribuire al Paese riforme lacrime e sangue (sia pure con il rigore nei conti un po’ attenuato) secondo i desiderata e il calendario europeo, la rivolta delle frange più estreme del suo partito è comprensibile. Lo appare molto meno oggi quella degli integralisti del partito della Merkel, visto che la sorveglianza della Grecia sarà capillare e la condizionalità degli aiuti tanto stringente da decretarne l’interruzione in caso di violazione degli impegni presi.

Certo, in Germania del pacchetto greco non piacciono né la prevista ristrutturazione in ottobre del debito, sia pure ufficialmente senza tagli, né l’incerta partecipazione del Fmi che tra l’altro pretende i tagli per renderlo sostenibile. Certo, la lunga crisi ha distrutto la fiducia tra partner in Europa, in particolare nei confronti della Grecia.

Però come Tzipras ha trovato il coraggio di invertire la sua rotta politica e la Merkel di concedergli una cauta e condizionata apertura di credito, non si vede perché la Cdu-Csu esiti ad accettare lo stesso rischio iper-calcolato.

Proprio perché con l’euro l’Europa è diventata una realtà immanente in tutte le sue democrazie tanto da farne e disfarne i Governi, prima se ne prende atto e meglio sarà per tutti. Di alternative percorribili con strappi clamorosi non ce ne sono, se non al prezzo di disastri pesantissimi e assicurati. Alla fine l’ha capito perfino un leader di estrema sinistra come Tzipras ed è questo, in fondo, il messaggio più importante che scaturisce da questa ennesima crisi mancata.

Resta che per le ragioni più diverse e spesso opposte, l’Europa non cessa di seminare intolleranze crescenti nelle pubbliche opinioni. Perché non distribuisce più speranze ma riforme necessarie però dolorose, rigore e eterne cure dimagranti per sicurezze e garanzie. Perché pretende molto senso di responsabilità ma dispensa scarsa solidarietà a un popolo europeo che non c’è ma troppo spesso si evoca solo quando fa comodo. Perché esprime istituzioni comuni deboli e incapaci di frenare l’esondazione di poteri nazionali troppo forti. Perché anche quando la ritrova, la sua resta una crescita anemica, la metà di quella americana, gravata da iper-disoccupazione.

Per questo, archiviata (forse) finalmente la sindrome greca, si dovrà guarire al più presto la malattia europea: le stridenti contraddizioni tra euro e democrazia, tra stabilità e convergenza socio-economica nell’area e tenuta politica dei suoi Governi. Il problema è generale. Anche l’Italia di Matteo Renzi ne sa qualcosa.

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