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Le insidie del taglio al debito di Atene

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Le insidie del taglio al debito di Atene

Con la crisi economica della Grecia che continua a imperversare, si sono levate alcune voci illustri che chiedono condizioni più indulgenti per il bailout e la riduzione del debito. Si è unito a questo sollecito perfino il Fmi che, insieme ad altri prestatori europei, ha fornito alla Grecia finanziamenti d’emergenza. Un approccio di questo tipo potrebbe essere davvero la proverbiale formula magica per risolvere la crisi greca?

La risposta è no. Se è innegabile che l’indebitamento ellenico è molto elevato e se è indiscutibile che un passivo ingente frena la crescita economica, è anche vero che il Paese deve far fronte ad altri ostacoli più difficilmente sormontabili per la crescita e che è indispensabile risolverli prima.

Infatti, negli anni a venire la Grecia probabilmente dipenderà dalla concessione da parte di fonti ufficiali di finanziamenti vincolati alle riforme, non alla quota di indebitamento. Il saldo nominale ellenico avrà importanza soltanto quando il Paese rientrerà nel mercato dei debiti e sarà soggetto a questo, non a termini di prestito e agevolazioni ad hoc. Nel frattempo Atene dovrà inaugurare le riforme strutturali necessarie a ripristinare le prospettive di crescita a lungo termine e, così facendo, rafforzare la sua capacità di ripagare i suoi creditori senza procedere a una consistente riduzione del debito nominale . (...)

Invece di offrire agevolazioni che potrebbero determinare un’instabilità a lungo termine nell’Eurozona, i leader europei farebbero bene a continuare a impegnarsi per creare forti incentivi destinati a tutti gli Stati membri che rispettano politiche fiscali prudenziali e che sono in grado di ridurre il rapporto tra spesa pubblica e indebitamento e ripristinare soluzioni fiscali tampone atte a controbilanciare gli shock asimmetrici dell’unione monetaria. Soltanto allora l’Eurozona avrà una possibilità concreta di preservare la clausola del “no bailout” prevista dal Trattato di Lisbona.

La Grecia forse contribuisce per meno del 2% al Pil dell’Eurozona, ma perseguire miopi soluzioni ad hoc per i suoi problemi significherebbe instaurare precedenti che potrebbero portare alla disgregazione dell’intera unione monetaria. Per scongiurare una simile evenienza è di vitale importanza che qualsiasi soluzione per la crisi della Grecia rafforzi, invece di pregiudicare, la coesione dell’Eurozona. È vero, la Grecia ha dovuto sottoporsi a dolorosi aggiustamenti per affrontare e risolvere le sue profonde lacune strutturali, le sue insostenibili finanze pubbliche e la mancanza di competitività dei prezzi, ed è vero che questi aggiustamenti hanno portato a un calo della produzione ellenica. Ma l’alto tasso di disoccupazione e la mancanza di investimenti non possono e non devono essere imputati alla cura prescritta, essendo più che altro sintomi del mancato impegno da parte del Paese a riformare la sua amministrazione pubblica e dare impulso alla flessibilità della sua economia.

Il dibattito internazionale su quanta austerità sia opportuna per bilanciare gli interessi della Grecia e dei suoi creditori ha distratto per troppo tempo i policy maker ed è giunto il momento di concentrarsi su un imperativo concreto: mettere a punto e concretizzare le vitali riforme strutturali, a livello nazionale ed europeo. Per gestire questo processo, il Consiglio tedesco degli esperti di economia che presiedo ha messo a punto una serie di riforme – denominata “Maastricht 2.0” – che potrebbe rinvigorire l’apparato normativo così essenziale per il successo a lungo termine dell’Eurozona. Per esempio, l’unione bancaria dovrà essere consolidata tramite un più ampio regime di deliberazione e una supervisione finanziaria integrata, e si dovrà introdurre un meccanismo per la ristrutturazione del debito sovrano. Premessa basilare delle riforme proposte è il cosiddetto “principio di unità delle responsabilità e del controllo”, in virtù del quale si richiede che sia il potere di prendere decisioni sia le responsabilità connesse alle conseguenze di queste ultime restino a uno stesso livello politico, nazionale o sovranazionale. In altre parole, se i Paesi vorranno prendere le loro decisioni in materia fiscale in modo indipendente rispetto ai loro partner dell’Eurozona, non potranno aspettarsi in seguito che costoro subentrino per fornire loro aiuto.

Certo, negli ultimi anni la compagine istituzionale europea è stata sottoposta a riforme di grossa portata che riflettono i princìpi del “Maastricht 2.0”, quali la necessità di dare rilievo alla responsabilità nazionale per le finanze pubbliche e la competitività internazionale. Ma il processo riformistico resta ben lontano dal dirsi concluso.

È innegabile che la stabilità a lungo termine dell’Eurozona è dunque messa a repentaglio dalle misure varate sul breve periodo per risolvere problemi acuti, quali la riduzione dell’indebitamento greco. Se l’unione monetaria europea intende sopravvivere, e un giorno prosperare, sarà bene che i suoi leader non si lascino tentare da soluzioni di comodo.

Traduzione di Anna Bissanti

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