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Più risorse destinate alla ricerca trasversale

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Più risorse destinate alla ricerca trasversale

Overshoot day, spreco alimentare, studi umanistici verso studi scientifici. Tre argomenti per la stampa e i social networks d’agosto, tre argomenti in apparenza lontani. Tentiamo un collegamento.

Primo: quest'anno l’ “overshoot day”, cioè il giorno dell’anno dopo il quale l’umanità usa le riserve future è arrivato il 13 agosto, poco più di metà anno. Come una famiglia che intacca i risparmi senza sapere come recuperarli, dal 13 u.s. il Mondo sta usando risorse che appartengono a chi verrà poi. La Terra è una sfera di volume e superficie finiti, la popolazione è in aumento così come aumenta l’aspirazione a nutrirsi meglio, a vivere meglio e più a lungo, quindi i bisogni aumentano mentre le risorse calano. Avremmo bisogno di una terra e mezzo, e se continuiamo così - tra breve - ne serviranno due. E non le abbiamo.

Secondo: la European commission ha stimato che nel 2020, in assenza di interventi, la quantità di alimenti sprecati raggiungerà le 120 milioni di tonnellate. Fasano sul Corriere della Sera del 18 ci ha ricordato che solo in Italia ogni giorno buttiamo 13mila quintali di pane. Per sprecare meno cibo e per usare meglio le risorse che abbiamo, e per procurarsene di nuove non basta “volerlo”. Occorre soddisfare contemporaneamente produzione, distribuzione, conservazione, consumo e recupero. La Francia sta assumendo provvedimenti di legge contro le catene di distribuzione che trascurano il problema del cibo prossimo alla scadenza o scaduto. Lo spreco alimentare è alla attenzione del governo anche in Italia e si susseguono iniziative anche collegate a Expo.

E veniamo al terzo punto: si avvicina il momento delle scelte universitarie per migliaia di studenti. Feltri sul Fatto quotidiano, ha ripreso dati pubblicati dal centro studi Ceps che dimostrano che le lauree tecniche e scientifiche consentono di trovare lavoro più rapidamente delle lauree umaniste scatenando sui “social” un dibattito dai toni accessi.

Il problema del lavoro è oggi centrale, non c’è dubbio, ma ho citato l’ “overshoot day” e il “food waste” proprio per chiedermi se i riferimenti di questo dibattito su umanisti verso tecnologi sono ancora adeguati. Basta guardare ai cinque anni trascorsi per rendersi conto di quanto deboli siano le nostre capacità predittive. Oggi usiamo tecnologie diverse rispetto a 5 anni fa, mentre assistiamo a fenomeni di portata biblica, con popoli in movimento, e interi sistemi socio-politici in tormentata trasformazione.

Non si tratta già tanto di sapere quale scelta di studi consente di trovare lavoro più facilmente quanto quale scelta consentirà di essere meglio equipaggiati per affrontare questo futuro mutevole.

La vera domanda è quindi “cosa studiare (e quindi cosa insegnare) in un mondo che cambia più rapidamente della durata dei nostri corsi di studi ?”.

Bisognerebbe, a mio avviso, fare almeno due cose e farle presto:

immettere più risorse nella ricerca trasversale incentivando - non deprimendo - la cooperazione tra esperienze differenti. Servono approcci nuovi, “strabismo” e pensiero laterale e interscambio costante pubblico-privato. Le categorie disciplinari non bastano più e occorre utilizzare subito il vasto patrimonio di ricercatori dei nostri atenei allargando la partecipazione dei giovani alla ricerca scientifica, tecnologica, medica, sociale, e culturale.

esplorare nuovi percorsi formativi che puntino sulla creatività e sulla innovazione (che non è solo tecnologica, si badi bene), basate sul co-working e sul co-studying almeno a livello del dottorato, e investendo su dottorati industriali, nel terziario e nelle amministrazioni pubbliche. Dobbiamo uscire dagli schemi della L240 e dobbiamo farlo subito.

La ricerca scientifica è la sola che può darci i modi per risparmiare risorse, per usare meglio quelle che abbiamo, per trovarne di nuove. Non è solo la tecnologia che è in gioco: si tratta anche di comunicare diversamente, di vendere diversamente, di distribuire diversamente, di conservare diversamente, di rimodellare le strutture sociali.

Abbiamo le risorse intellettuali per farlo, non sprechiamo anche queste.

Dario Braga è prorettore alla Ricerca dell'Università di Bologna

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