Commenti

Quella cura svedese per la bolla

  • Abbonati
  • Accedi
l’eccesso di debito

Quella cura svedese per la bolla

Come si cura la bolla cinese? Se la caduta dei prezzi azionari cinesi è foriera di rischi recessivi, causati da un eccesso didebito, la cura migliore è quella svedese: separare il cattivo debito da quello buono, e farlo gestire dallo Stato con criteri di mercato.La cura sbagliata sarebbe invece quella giapponese: mantenere la commistione tra debito buono e debito cattivo grazie all’intervento dello Stato. Purtroppo finora le autorità cinesi sembrano aver scelto la strada sbagliata.

Di fronte alla continua caduta dei prezzi delle azioni cinesi, in parallelo all’aumento delle preoccupazioni per gli effetti sull’economia mondiale si moltiplicano gli interrogativi sulla strategia che le autorità di Pechino dovrebbero definire e mettere in atto per affrontare al meglio il fenomeno.

La risposta dipende dalla diagnosi. Una anomala caduta dei prezzi borsistici - in termini di entità e/o di durata - può essere definita lo scoppio di una bolla che ha caratterizzato la dinamica dei valori delle attività mobiliari. La diagnosi dunque dipenderà dalla natura della bolla borsistica, che può essere duplice, a seconda del rischio che esse inneschino dei fenomeni macroeconomici recessivi nell’economia reale.

Da un lato ci sono le bolle borsistiche che possiamo definire neutre, nel senso che i rischi di effetti recessivi sulla domanda e/o sull’offerta aggregata sono trascurabili. La bolla borsistica neutrale nasce e muore nel mercato finanziario, provocando effetti sui prezzi delle attività mobiliari, ma non incidendo sulle decisioni di risparmio, consumo e investimento. La bolla nasce per il consolidarsi di aspettative in ascesa sui prezzi delle azioni, tipicamente innescate dal lato della domanda. È quello che accadde negli Stati Uniti durante la cosiddetta “bolla dot com” o “bolla internet”: aspettative di crescita dei valori delle azioni legate alla nuove tecnologie della produzione e distribuzione dell’informazione innescarono una crescita complessiva dei mercati azionari. Nel momento in cui tale aspettative si mostrarono deboli, i prezzi delle azioni iniziarono un cammino contrario, e la bolla si sgonfiò. Il dato rilevante è che la dinamica dei prezzi degli stock azionari non ebbe effetti macroeconomici rilevanti sulle decisioni reali legate ai flussi: consumi, risparmi e investimenti. In altri termini, i cambiamenti nella distribuzione dei redditi non ebbero effetti sulla dinamica complessiva del prodotto. Anche per questa ragione ricordiamo quegli anni come il periodo della Grande Moderazione: la crescita reale con bassa inflazione era il dato strutturale, al di là di temporanee perturbazioni, incluse quelle borsistiche.

Cosa si fa quando la bolla borsistica è neutrale? La risposta più semplice sarebbe: nulla. Possiamo chiamarla la “cura austriaca”, adattando a un caso particolare la ricetta che negli anni Trenta fu proposta di fronte a squilibri di Borsa che segnalavano errori nell’andamento generale degli investimenti, e quindi dei relativi finanziamenti, anche mobiliari. L’eccesso di fiducia nella Borsa, alimentato da tassi di interesse troppo bassi, crea dei prezzi artificialmente alti nel mercato, finché è lo stesso mercato che ne rivela l’anomalia. In questo caso le autorità devono mantenere un atteggiamento come minimo neutrale, se non addirittura restrittivo: un atteggiamento espansivo non farebbe che ritardare e peggiorare l’aggiustamento di mercato.

È questa oggi la situazione cinese? Sarebbe una lettura troppo ottimistica. È vero che la crescita dei corsi azionari è stata spinta dal combinato disposto di una politica monetaria espansiva che ha assecondato la scoperta del mercato azionario da parte dei risparmiatori e delle imprese cinesi, private e pubbliche. Ma definirla solo per questo una bolla borsistica neutrale, escludendo cioè fin d’ora la possibilità di effetti recessivi sull’economia cinese sarebbe una diagnosi temeraria.

E allora, se la bolla cinese può essere recessiva, la terapia migliore è quella che possiamo definire la “cura svedese”, richiamando la strategia di politica economica messa in atto dal governo svedese negli anni Novanta. La Svezia era caratterizzata da una politica del tasso di cambio fisso, unita a controlli dei capitali verso l’esterno e a una regolamentazione bancaria poco incline al mercato. Tale disegno delle regole monetarie si mostrò incompatibile con un’economia reale sempre meno competitiva e sempre più zavorrata dal suo settore pubblico. L’apertura al mercato di tale sistema ne mostrò le sue contraddizioni, e il tallone d’Achille fu (come sempre?) il settore finanziario e bancario. Se la crisi finanziaria è legata a un eccesso di debito, ecco che i rischi recessivi diventano rilevanti. Come si affrontano? Separando i cattivi debiti dai buoni debiti, attraverso un intervento dello Stato che si assume la gestione dei cattivi debiti, ma con rigorosi metodi di mercato. Il governo svedese intervenne, ma in maniera selettiva: istituzioni pubbliche, ma indipendenti, liquidarono o gestirono i cattivi debiti, bancari e non. La politica monetaria fu accondiscendente, ma selettiva. La gestione finanziaria straordinaria durò complessivamente sette anni, ma i danni recessivi furono minimizzati.

Se i politici cinesi vogliono evitare danni recessivi, dovrebbero cercare di importare la cura svedese. Ed evitare invece la cosiddetta “cura giapponese”: disegnare una politica monetaria e finanziaria indiscriminatamente espansiva. La politica monetaria espansiva ma non selettiva rischia di essere un rimedio peggiore del male: l’eccesso di cattivo debito non è isolato, anzi può essere accentuato. Purtroppo, finora le scelte dei governanti cinesi sono andate nella direzione giapponese; prima, incentivando il finanziamento privato di cattivo debito pubblico delle amministrazioni locali; poi, incentivando il finanziamento indiscriminato da parte dei fondi pensioni di imprese quotate in Borsa. E vero che l’efficacia della cura svedese presuppone un sistema delle regole basato sui concetti di indipendenza delle burocrazie, efficienza delle corti, e meccanismi anti-corruzione: ma non è proprio questa la direzione che dice di voler prendere la nuova dirigenza cinese.

© Riproduzione riservata