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Purché non sia la solita solidarietà «degli altri»

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EUROPA E IMMIGRATI

Purché non sia la solita solidarietà «degli altri»

«Se conosce la solidarietà, e anche noi l'abbiamo offerta agli altri, l'Europa deve dimostrarla adesso e farlo in fretta», Angela Merkel dixit, con la Germania che quest'anno da sola accoglierà 800mila rifugiati mentre l'assalto alle frontiere Ue non accenna a diminuire. Quando la Cancelliera parla, l'intendenza europea in genere segue, controvoglia o apertamente recalcitrante. Ma se di mezzo c'è l'emergenza migratoria si ostina a dare il peggio di sé.

È finita da anni l'epoca d'oro in cui l'Europa era ansiosa di integrazione e di condivisioni, di libertà, standard, frontiere, mercato e moneta comuni. Eppure anche allora le politiche migratorie restarono chiuse nei vari recinti nazionali con qualche minima calibratissima apertura europea sull'asilo, mai generalizzata. La stessa Schengen, lo spazio senza frontiere riservato ai soli cittadini Ue, nacque piccolissima per poi allargarsi negli anni con cautela e molte eccezioni.

Ormai gli scricchiolii nel sistema si moltiplicano dovunque: non è la disintegrazione programmata ma di sicuro l'Europa gioca troppo con il fuoco delle sue divisioni interne. Non che in passato non abbia mai difeso con fermezza i tanti interessi nazionali che la compongono. Al contrario.

Però era diametralmente opposto lo spirito con cui lo faceva: l'Europa era un interesse nazionale da asserire e negoziare all'ultimo sangue ma da preservare e difendere. Oggi in molti, troppi paesi la collusione tra i due mondi si fa sempre più sottile. Gli interessi nazionali appaiono sempre più in rotta di collisione con l'Europa: le remano contro, intolleranti delle sue intrusioni eccessive. In giro c'è voglia di riappropriazioni sovrane più che di nuove cessioni, di arroccamento su variegati egoismi e sacre bandiere più che di solidarietà sincera e di unione europea.

La politica comune dell'immigrazione che non c'è è lo specchio impietoso di questa partnership sfibrata e nervosa, perfino isterica nel suo negazionismo di un problema comune che pure è destinato a sommergere tutti, se continuano a prevalere inedia e agnosticismo nell'affrontarlo.

Potranno pure lasciare indifferenti le migliaia di profughi siriani che ora battono la rotta artica per raggiungere la Norvegia via Russia, i morti annegati nel Mediterraneo e quelli asfissiati in un camion frigorifero in Austria. Ma è difficile non sussultare di fronte a statistiche che in Africa annunciano il raddoppio a 2,4 miliardi della popolazione. E che dicono che già oggi ci sono 25 milioni di rifugiati che si aggirano intorno alle frontiere europee: naturalmente non tutti intendono varcarle ma i numeri lasciano intendere che presto sarà di milioni di persone e non più di migliaia di persone la pressione degli immigrati alle porte dell'Unione.

Ha ragione Angela Merkel a invocare la solidarietà europea, la riforma e la maggiore integrazione delle politiche di asilo, insieme all'urgenza di un'azione comune. Ma la solidarietà ha un sapore sconosciuto e spesso amaro in chi l'ha cercata in Europa per pagarla carissima quando l'ha ottenuta tra violenti scambi di accuse e cure da cavallo. La crisi dell'euro o la prima emergenza Mediterraneo insegnano.

Anche ignorando i veleni che hanno seminato, la composizione degli interessi nazionali oggi appare impossibile se per di più non si smetterà di confondere e sovrapporre tra loro problemi e immigrati, riducendo sempre più la distinzione tra cittadini extra-Ue e Ue, tra chi può avere diritto all'asilo e chi invece ha già diritto alla libera circolazione dentro l'Unione grazie al mercato unico prima che agli accordi di Schengen.

Il risultato è paradossale: Germania, Francia e Gran Bretagna chiedono all'unisono e ottengono la riunione straordinaria dei ministri competenti Ue il 14 settembre a Lussemburgo per trovare i modi di arginare la valanga umana dei rifugiati, organizzarne la spartizione solidale intra-europea, i rimpatri e interventi per scoraggiare i negrieri.

Nel frattempo lo stesso Governo inglese pretende di limitare gli ingressi sul proprio territorio ai soli cittadini Ue in possesso di un contratto di lavoro e mette in cantiere una legge per confiscare i salari percepiti illegalmente, procedere a rimpatri senza appello per i non aventi diritto, imporre ai datori di lavoro l'onere di provare la correttezza delle assunzioni. Il tutto asserendo che il mercato unico prevede la libera circolazione dei lavoratori Ue, cioè di chi ha già un lavoro e non di chi lo cerca, meno che mai dei “turisti del welfare altrui”. L'Europa senza frontiere di Schengen sarebbe poi colpevole di «esacerbare le tragedie dell'immigrazione da Africa e Medio Oriente».

I soliti inglesi? La solita storia europea del doppiopesismo nella solidarietà come nel rispetto della regole Ue? No. Le posizioni di Londra sono condivise dai paesi scandinavi non più disposti a spartire la generosità dei rispettivi sistemi di sicurezza sociale. Da quelli dell'Est, i primi a rivendicare i benefici degli altri ma, quando si tratta di quote obbligatorie per ripartire i rifugiati, ostentano una chiusura quasi ermetica. A meno che i polacchi non evochino il prossimo esodo in massa degli ucraini, pretendendo ovviamente di ripartirlo con i partner. O gli slovacchi possano scegliere di accogliere solo profughi cristiani. O i cechi sognino un esercito europeo comune e il sostegno della Nato per proteggere le frontiere Ue dai migranti.

Non è la caricatura grottesca della politica migratoria europea persa nei meandri di protezionismi, nazionalismi, estremismi, populismi ciechi e strumentali a sensibilità e giochi di potere più o meno grandi o meschini.

Questa oggi è l''Europa. Fino a che i suoi paesi membri saranno capaci di condividere solo la solidarietà degli altri, non scriverà più la storia ma si condannerà a subirla. Facendosi pri ma o poi molto male.

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