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Decisivo avere coperture certe

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L’ANALISI

Decisivo avere coperture certe

La pressione fiscale va ridotta e in modo visibile e permanente. Su questo non vi è alcun dubbio, se si considera che il peso di fisco e contributi sull’intera ricchezza prodotta dal Paese ha raggiunto il livello record del 43,5 per cento.
Un livello che la Corte dei Conti ha definito non più di due mesi fa “intollerabile”, e stiamo parlando della pressione fiscale fotografata dalle statistiche ufficiali, quando è ben chiaro che il peso reale del prelievo sui contribuenti onesti supera largamente il 50% per effetto dell’altissima evasione.
Se questo è lo scenario di partenza, si può e si deve discutere su come e dove convogliare gli annunciati tagli alle tasse dal 2016 (sul lavoro come suggerisce Bruxelles o sulla casa come prevede il Governo), nella premessa che ogni euro di riduzione del prelievo fiscale e contributivo va finanziato con tagli selettivi alla spesa. È vero: nonostante la prima tranche di interventi contenuti nella legge di stabilità del 2015 (azzeramento della componente lavoro dal calcolo della base imponibile Irap e decontribuzione per i neoassunti) la tassazione sul lavoro resta da noi a livelli molto sostenuti.

Stando agli ultimi dati Ocse, il cuneo fiscale in Italia sul lavoratore senza carichi familiari si è attestato nel 2014 al 48,2% superiore di oltre 12 punti rispetto al valore medio. Al tempo stesso, in un sapiente mix delle risorse a disposizione, non si può non considerare, a beneficio della scelta che il Governo si accinge a formalizzare, che anche gli sgravi fiscali sulla prima casa (abolizione della Tasi, dell’Imu applicata in agricoltura e cosiddetta tassa sugli imbullonati) per un totale di circa 5 miliardi potranno avere un effetto sull’auspicata ripresa dei consumi e della domanda interna. Il primo elemento da considerare è che la tassazione sulla casa è tra le più impopolari nel nostro Paese. Lo è anche in conseguenza delle decisioni assunte in materia dagli ultimi quattro governo. Prima abolita dal governo Berlusconi (già il governo Prodi ne aveva disposto la parziale soppressione), ecco che l’Ici sulla prima casa ritorna nel novembre del 2011 sotto la nuova veste dell’Imu. Nuovo dietro front con la conferma dell’abolizione dell’imposta, fatta salva la sconcertante coda della cosiddetta mini-Imu, pagata dagli italiani a gennaio del 2014. Ora il focus è sulla Tasi, la tassa sui servizi indivisibili, altra recente new entry del panorama fiscale nostrano, accompagnata dall’abolizione dell’Imu «per tutti».

La priorità va ovviamente alle coperture, e dunque il minor gettito che ne deriverà per le casse comunali deve essere adeguatamente compensato. Una volta evitato che l’abolizione della Tasi “rientri” sotto altre vesti magari nella forma di nuove addizionali comunali all’Irpef, si potrà provare a verificarne gli effetti. Che in questo caso hanno a che fare per gran parte con tre elementi: l’auspicata spinta in direzione dell’inversione delle aspettative, sostenuta dal virare del “sentiment” delle famiglie e degli operatori economici verso una maggiore fiducia sulle prospettive a medio termine dell’economia); l’impatto che la manovra potrà avere sull’intero comparto dell’edilizia; il valore aggiunto che deriverebbe dall’impegno formale a renderla una misura strutturale e permanente.

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