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Se il Qe è l’unica arma delle banche centrali

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MISURE STRAORDINARIE

Se il Qe è l’unica arma delle banche centrali

È difficile dire se la tempesta che s’è abbattuta sui mercati sia una semplice correzione, come sembrano voler credere i più, o qualcosa di peggio, l’avvio di un forte e generalizzato ribasso, come sostengono i pessimisti.
Di certo le variabili sono talmente tante, così complesse e in larga parte senza precedenti, da rendere ardua qualsiasi previsione. Per dirla con le parole di Jim Reid, capo economista di Deutsche Bank, «stiamo volando alla cieca».
Si spera di non sbattere contro una crisi cinese, paventata da anni, i cui contorni sono ancor più incerti a causa della cronica inaffidabilità dei dati macro e finanziari del Paese. Più che il rallentamento dell’attività economica, pesa l’incertezza sulle condizioni di un sistema bancario ombra che può aver generato bolle speculative su un largo spettro di attività. E pesano le conseguenze sul credito, sulle valute e sulle riserve valutarie degli altri Paesi emergenti: cosicché, se la crisi dilagasse, supererebbe per ampiezza e intensità quella che sconvolse i mercati asiatici nel 1997-98.

In tutta questa incertezza, l’unico strumento a disposizione delle diverse autorità monetarie sembra essere il quantitative easing: ossia stampare moneta per acquistare qualsiasi genere di titoli costruiti sul debito e anche azioni. Se non è detto che sia esattamente questo l’intento delle banche centrali (e dei governi che spesso le condizionano), è questo il pensiero dominante dei mercati finanziari. Un quantitative easing (o qualcosa di assai simile) rimetterebbe in carreggiata la stravagante architettura finanziaria della Cina; un Qe finirebbe per riproporsi per la quarta volta negli Usa, se Cina e Paesi emergenti continuassero a liquidare le loro riserve valutarie, per due terzi, almeno quelle di Pechino, fatte di Treasury e di bond americani; un Qe ancor più robusto o forse a più lunga scadenza sarebbe la ricetta attesa quest’oggi dalla Bce e, fra giorni, dalla Banca del Giappone.

C’è sicuramente una dipendenza da droga valutaria tra gli operatori, ma c’è anche la consapevolezza che con i tassi d’interesse a zero, e tali da parecchi anni, la politica monetaria convenzionale non ha più leva e ha finito per smarrire pure autorevolezza. Il Qe è rimasta l’unica e l’ultima arma a disposizione per fronteggiare qualsiasi genere di crisi o un’altra possibile recessione mondiale.
L’assuefazione dei mercati coincide, in parte, con la rassegnazione della banche centrali. Per questo è assai improbabile che la Fed, a settembre , decida di alzare i tassi d’interesse, tanto più se si pensa che la liquidazione di 2-300 miliardi di dollari di riserve cinesi e la prospettiva di ulteriori vendite renderebbe vano buona parte dell’ultimo Qe americano. Per questo i mercati s’aspettano parole dolci da Mario Draghi quest’oggi: persino la promessa di rafforzare e prolungare il Qe, come ritengono abbastanza probabile gli analisti di Abn.

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