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L'Italia risponda con velocità

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L'Italia risponda con velocità

C'è almeno una parola, pronunciata ieri più volte al Parlamento tedesco da Angela Merkel, che dovremmo adottare subito in Italia: “velocemente”. I profughi che vedono riconosciuto il diritto di asilo, ha detto la Cancelliera, «hanno bisogno del nostro aiuto e bisogna integrarli velocemente e altrettanto velocemente devono imparare il tedesco e avere velocemente un lavoro, le regole vanno rispettate e non ci sarà nessuna tolleranza per una società parallela».

Molto apprezzata per la svolta solidarista in tandem con Papa Francesco, che a sua volta ha chiesto alla Chiesa di aprire le sue porte ai migranti, la timoniera del governo che ha le redini di quell'oggetto misterioso che è l'Europa (il presidente della Commissione Ue Juncker ha spiegato che «manca l'unione e manca l'Europa») è meno citata e osannata quando mette sul tavolo, nell'interesse nazionale della potenza tedesca, il suo elementare e logico pragmatismo.

Eppure, anche questo sarebbe un “modello” e un metodo di lavoro da valutare con attenzione. Se non altro perché viene da un Paese che l'immigrazione l'ha storicamente gestita (quella italiana e turca, ad esempio), che in tempi record ha chiuso con successo la partita della riunificazione con la Germania dell'Est, che ha lasciato il suo adorato marco non prima di essersi garantito un euro a trazione tedesca. E che dimostra oggi, date le condizioni demografiche e le esigenze del mercato del lavoro, di avere idee chiarissime sul futuro. La scelta di puntare ad accogliere e integrare subito i profughi siriani, moltissimi dei quali sono giovani acculturati e ben inseriti nel mondo digitale, ne è la prova lampante e la conferma che in attesa dell'Europa che verrà si fa ciò che si deve nell'interesse della comunità tedesca.
Cosa può fare l'Italia “velocemente”? Di certo non quello che la Germania, la quale sta dando una prova di eccezionale efficienza dei suoi apparati logistici e amministrativi, può garantire dall'oggi al domani. Ma almeno tre cose, rapidamente e per cominciare, l'Italia e la sua classe dirigente, non solo politica, dovrebbero farle. Primo: valutare i problemi, che sono oggettivamente enormi, evitando la giostra delle isterie e dell'emozionalismo facile e a volte anche ipocrita. È evidente che processi di questa portata non si fermano con i filo-spinati e che il soccorso a chi fugge e chiede aiuto viene prima di ogni altra considerazione.
Ma da qui a non porsi subito, certo con il metro della ragione e dell'equilibrio, il problema del dopo, invece esaltando a occhi chiusi la bontà della Merkel che il giorno prima era dipinta come un feroce cane da guardia, oppure mettendo sullo stesso piano il premier ungherese Viktor Orbàn con il premier del Regno Unito David Cameron, o infischiandosene che anche la civilissima Danimarca blocca treni e autostrade, ne corre. L'Italia ha il «record mondiale dell'accoglienza e siamo campioni del mondo nel salvataggio di vite umane», ha detto il ministro Angelino Alfano. Ottimo, ma non tutto è poi possibile. Come ricorda lo stesso ministro, è la stessa Europa che chiede di distinguere tra chi scappa dalle guerre e i “migranti economici”, che vanno rimpatriati. E va notato che anche il catechismo della Chiesa cattolica parla dell'accoglienza «nella misura del possibile» e delle «autorità politiche» che «in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l'esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, in particolare al rispetto dei doveri dei migranti nei confronti del paese che li accoglie».
Seconda cosa da fare in vista dell'esame del piano-Juncker che dispone - con quote obbligatorie divise - l'accoglienza in Europa per ulteriori 120mila profughi oltre i 40mila già previsti: dotarsi di una strategia, anche di politica estera, lineare e definita. Cercando di guardare oltre l'orizzonte dell'inevitabile emergenza cui segue un'altra emergenza e mettendo in chiaro, a Bruxelles, che se la partita diventa quella per la quale ci si sceglie i profughi potenzialmente più integrabili e più funzionali alle esigenze dei mercati del lavoro, l'Italia non può rimanere il serbatoio di scarico dell'immigrazione economica più estrema e più difficile da integrare. Terzo e ultimo impegno: mettersi nelle condizioni di avere strutture di accoglienza, smistamento e controllo - il governo sta valutando giustamente la chiusura del centro siciliano di Mineo - degne di questo nome e rispettose di tutti i diritti, compresi quella della sicurezza dei cittadini italiani.
Tre cose da fare «velocemente», per dirla con Angela Merkel oggi vista come un esempio da seguire.

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