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Homo naledi, ecco un nuovo progenitore dell’uomo

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la scoperta

Homo naledi, ecco un nuovo progenitore dell’uomo

La famiglia degli ominini che comprende gli Homo e parenti stretti, è in pieno boom demografico, le identificazioni di nuove specie si succedono a ritmo accelerato, ma sono davvero nuove? Oggi sulla rivista eLife compaiono quindici individui di Homo naledi, la scoperta più inattesa fatta finora in Africa, non fosse che per l’abbondanza di ossa fossili tutti di una sola specie.

Provengono da scavi in profondità nella “camera Dinaledi” che fa parte dell’insieme di cave e grotte Rising Star, in Sudafrica, la celebre “Culla dell’Umanità” da cui sono emersi antenati risalenti fino a 4 milioni di anni fa.

C’è voluta una cinquantina di paleoantropologi di quattro continenti; esperti di molti Homo e con competenze complementari, tra i quali Damiano Marchi dell’Università di Pisa e del Witswatersrand, per ricomporre 1550 frammenti e confrontare i risultati, 737 “elementi anatomici” spesso più copie forse appartenenti a età e sessi diverse, con quelli attribuiti con certezza – ragionevole o meno, come si vedrà… - a specie Homo distinte. Si tratta di una prima ricostruzione, quindi in attesa di conferme. Però riesce già a elencare differenze chiare, come la minor capienza cranica rispetto a quella dell’H. sapiens medio per esempio e innumerevoli somiglianze con ominini di almeno 2 milioni di anni e altri che ci hanno preceduti per poche centinaia di millenni. La cautela è dovuta al fatto che lo strato di terreno nel quale i Dinaledi erano rimasti sepolti fino a marzo dell’anno scorso, non è ancora stato datato: i ricercatori non sanno in quale epoca sono vissuti. A volte usano il condizionale per suggerire o escludere parentele. La pelvi, la cassa toracica, la scapola paiono di un ominine di due milioni anni fa, o la loro morfologia sarebbe un adattamento a qualche circostanza ambientale? Piedi, polsi e mani paiono di H. faber o habilis o i Dinaledi dagli alluci lunghi e dalle dita affusolate (destre e sinistre, complete fino all’ultima falange dei mignoli, che meraviglia) erano bipedi ma si spostavano nella foresta da un ramo all’altro? O come l’H. sediba, i Dinaledi erano “mosaici” di tratti che nell’evoluzione ogni specie acquisiva
con tempi propri?

Erano disposti con cura in una camera mortuaria, perché mai un cranio piccolo andrebbe sempre associato a un’assenza di riti funebri e di cultura?

Per rispondere alle domande ci vorranno decenni com’è normale davanti a tanto bendidio e perché questi paragoni fra specie sono altrettanti sassi nella piccionaia dell’antropologia, già assai rissosa di suo. All’inizio di uno dei due articoli gli autori scrivono «Non abbiamo definito H. naledi basandoci strettamente su una singola mascella o cranio perché l’insieme del materiale ha improntato la nostra comprensione
della sua biologia».

Se restasse qualche dubbio sul fatto che considerano molte definizioni prive di ragionevole certezza, in fondo all’articolo lanciano un appello. «Per quanto faccia progredire le nostre conoscenze, H. naledi sottolinea anche la nostra ignoranza sugli antichi Homo lungo il vasto arco geografico del continente africano. L’albero degli ominidi simili agli Homo è ben lungi dall’essere completo: ci siamo persi forme transizionali chiave e lignaggi vissuti per centinaia di millenni».

Invece di litigare sull’interpretazione di una singola mascella insomma, rimbocchiamoci le maniche e torniamo a scavare.

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