Commenti

Un cambio per tenere la rotta

  • Abbonati
  • Accedi
Italia

Un cambio per tenere la rotta

Le dimissioni di Silvano Cassano dal vertice di Alitalia hanno rianimato il coro delle polemiche sulla gestione - passata, presente e futura - dell'ex compagnia di bandiera, soprattutto da parte di chi non ne ha mai digerito la privatizzazione e in particolare l'ingresso di un socio straniero come partner industriale.

È innegabile che le dimissioni inattese di un amministratore delegato rappresentino sempre un fatto traumatico, il sintomo evidente di un malessere aziendale o la rottura del rapporto fiduciario tra top manager e azionisti. Ma dipingerle o spacciarle come la conferma del fallimento scontato di un piano industriale avviato appena un anno fa o come la conseguenza di un flop strategico nella scelta di Etihad come socio forte, il passo è sicuramente lungo se non addirittura fuori luogo: chi lo fa, si dimentica non solo del danno provocato alla compagnia e alle finanze pubbliche da decenni di sperperi e di cattiva gestione dello Stato, ma anche della cronica diffidenza nei confronti di un investimento in Alitalia (e in Italia) manifestata puntualmente dalle innumerevoli compagnie straniere a cui periodicamente è stato sottoposto il dossier, da Air France-Klm ad Aeroflot, da Lufthansa a Continental.

E anche convincere Etihad ad accettare l'invito non è stato facile affatto: senza base dei costi più bassa, debiti cancellati, costo degli aerei ridotto e personale ridimensionato, nè l'ex ad Gabriele del Torchio nè l'attuale presidente Luca Cordero di Montezemolo sarebbero mai riusciti ad agganciare le sorti di Alitalia al traino di un colosso globale come la compagnia di Abu Dhabi.

Smontare i preconcetti ideologici di chi preferirebbe il ritorno di una presenza invasiva dello Stato in Alitalia, insomma, è tempo perso: anche trascurando il fatto che con il ritorno al pubblico le eventuali perdite sarebbero poi a carico del contribuente e non degli azionisti privati che oggi rischiano in proprio, non c'è dubbio che ogni vicenda legata al turnaround del vettore sia diventata ormai un'imperdibile occasione per lanciare imboscate (mediatiche innanzitutto) contro le privatizzazioni, le liberalizzazioni o l'ingresso degli investitori stranieri nel capitale delle ex aziende di Stato. Che si tratti di stazioni, aerei, aeroporti, telecomunicazioni, ferrovie o - per esempio - delle privatizzazioni legate al riassetto di Finmeccanica, non fa alcuna differenza: la parola d'ordine è «dove passa il privato non cresce più l'erba». Nel caso di Alitalia, tuttavia, i voli pindarici sono destinati allo stallo: senza il supporto del governo a fianco dei soci privati nella ristrutturazione del vettore, i suoi libri contabili sarebbero finiti già due volte in tribunale, i dipendenti licenziati e la compagnia ridotta a spezzatino. Sarebbe stata forse questa la soluzione migliore, avere un giudice al posto di Etihad?

Detto questo, come giudicare dunque le dimissioni di Cassano? È ovvio che l'uscita per «motivi personali» in una fase critica per l'implementazione e il successo del piano industriale della compagnia è poco credibile per qualunque osservatore. Nè si può dire che il suo abbandono dell'incarico sia dovuto a un peggioramento dei conti o al fallimento del piano industriale varato dai nuovi soci: le perdite del primo trimestre (circa 100 milioni) e quelle del secondo (30 milioni), sono perfettamente in linea con le previsioni che erano state a suo tempo e presentate dai nuovi soci e dai manager. Tra l'altro è bene ricordare che con l'ingresso di Etihad la nuova Alitalia ha cambiato i principi contabili e modificato radicalmente il perimetro operativo, la flotta e le rotte, rendendo difficili i paragoni tra questo e i precedenti esercizi fiscali.

Se Cassano si è dimesso, insomma, non è per le perdite o per i ricavi, ma per la rottura del rapporto di fiducia con gli azionisti italiani e soprattutto con il socio forte del Golfo, evidentemente abituato a una maggiore velocità di implementazione dei piani di rilancio delle compagnie in cui ha investito. Etihad, a cui va attribuita totalmente la scelta di Silvano Cassano come amministratore delegato, non percepisce e non vede (come del resto ancora molti viaggiatori) alcun cambiamento di stile e di qualità nel servizio offerto ai clienti dalla compagnia, e soprattutto non ritiene più che sia l'uomo giusto per quel salto di qualità nell'immagine del gruppo che era stato promesso al momento del suo ingresso. Ora, o meglio fino a quando non sarà scelto un nuovo amministratore delegato, toccherà al presidente Luca Cordero di Montezemolo inserire il «booster» nel motore e nell'immagine di Alitalia, una sfida non semplice ma anche un lavoro che conosce bene per la sua lunga esperienza in Ferrari.

La compagnia di Abu Dhabi e soprattutto il suo plenipotenziario australiano James Hogan conoscono bene la lingua degli affari, i bisogni del cliente e le regole imprescindibili del mercato globale: i risultati finanziari contano quanto quelli di immagine e il dovere di un top manager è centrare entrambi gli obiettivi. Prima di Cassano, la stessa sorte era toccata ai vertici di altre compagnie partecipate o controllate come Air Serbia, Air Seychelles o Jet Airways. Pur avendo fatto un ottimo lavoro nell'implementazione del piano industriale, insomma, Cassano ha deciso di gettare la spugna quando ha capito che tenere la barra dritta sui conti non era sufficiente per mantenere la fiducia di chi lo aveva scelto e soprattutto di chi lo aveva finora difeso dalle critiche degli altri soci italiani della compagnia che, per onor del vero, nel 2014 avevano lasciato scegliere l'amministratore delegato a Etihad pur avendo in base agli accordi la delega sulla nomina dell'amministratore delegato. L'auspicio, a ogni buon conto e soprattutto alla luce di quanto è accaduto con Cassano, è che sulla nomina del prossimo amministratore delegato Etihad non rivendichi un'esclusiva che non gli spetta, e che ci sia invece una scelta condivisa con i soci italiani che la affiancano nel board. Anche perchè Etihad, in italiano, si traduce con «Unione».

© Riproduzione riservata