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La lunga strada per la trasparenza

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IMPRESE & LEGALITÀ

La lunga strada per la trasparenza

Chissà cosa aspettano, i sindacati, a svoltare con decisione verso la trasparenza e l'accountability della loro (sacrosanta) autogestione? Dalla invidiabile escalation salariale di Raffaele Bonanni, fino al recente scontro tra la segreteria Cisl e un militante veneto (espulso perché chiedeva conto dei lauti stipendi al vertice), la confederazione di ispirazione cattolica è attraversata da brividi e convulsioni che non sono però ancora bastati a portare chiarezza nei conti, nei nepotismi, nelle retribuzioni. Di Cgil e Uil si parla meno, ma le problematiche sono le stesse, come dimostra la recente analisi dell'Inps, secondo cui molti sindacalisti in distacco si sono costruiti doppie pensioni: nessun reato, ma l'inopportunità è plateale, specie per i paladini dei lavoratori esodati. E cosa dire della difesa dell'indifendibile, adottata per i vigili urbani assenteisti e i conducenti “selvaggi” della metro della Capitale, per i custodi di Pompei e della Reggia di Caserta con i loro scioperi devastanti e le loro incombenze mal (o mai) svolte? E la rappresentazione degli insegnanti come “deportati” sotto la minaccia di un'assunzione a tempo indeterminato? Corporativismo e scarsa trasparenza si tengono bordone, micidiali custodi del malfunzionamento del Paese.

Se ci si aspetta che i senatori tirino in lungo l'abolizione del vitalizio ai colleghi condannati o che la miccia della corporazione togata sia perennemente accesa, stupisce la riottosità dei difensori del lavoro verso gli standard di meritocrazia e trasparenza che il ciclo politico iniziato a fine 2011 sta imponendo a imprese, partiti, manager pubblici e amministratori locali, anche perché i cittadini chiedono con forza di leggere curricula e valutare retribuzioni, iter di appalti, di poter confrontare promesse e risultati. Ma i sindacati non sembrano tenere il passo e, sempre più spesso, qualche brutta nuova fa aderire il loro profilo a quello dei partiti, delle fondazioni, o dei consorzi infiltrati dal clientelismo: tutte realtà oggetto di sana e crescente diffidenza.

Né si comprende che vantaggi derivino ai rappresentanti dei lavoratori, nel farsi tacciare di carrierismo, nepotismo, di grande abilità nel cumulare retribuzioni e indennità, oltre che di indulgenza verso quanti tra loro giocano con la reputazione, in un'opacità sempre più difficile da “perdonare”.

Con l'aria che tira, con il calo dei tesserati e con i passi compiuti dal Paese verso la trasparenza, sarebbe lecito aspettarsi dai sindacati un veloce adeguamento organizzativo e una rinnovata trasparenza nei bilanci, magari con un contrito “scusate il ritardo”. Invece la realtà dei fatti rivela (o dimostra) che le nostre Union si sono accomodate sugli stessi standard inadeguati che hanno tolto credibilità a gruppi politici, istituzioni, caste di vario peso. Agli occhi degli italiani, non c'è gran differenza tra il piatto di pesce pregiato che alla bouvette costa ai parlamentari un'ottantina di centesimi e il fatto che migliaia di attivisti sindacali percepiscano (e vengano tassati su) retribuzioni bassissime, cui però possono aggiungere rimborsi a pie' di lista, senza una seria rendicontazione.

Così come si assomigliano le miserabili furbate dei rimborsi pazzi ai consiglieri regionali e quei sindacalisti che lucrano su uscite fasulle, per esempio viaggiando in due o tre su una stessa auto, ma presentando una nota spese a testa.

E non si ha più voglia di distinguere tra le dinastie dei baroni universitari, dei primari d'ospedale o dei giornalisti ereditari e i parenti “tirati dentro” dai potenti della galassia sindacale come rimedio domestico alla disoccupazione. E non si parli di mele marce: la diffusione di certe cadute di etica è vasta e favorita da una inviolata autoreferenzialità. Le denunce che bruciano di più vengono dall'interno.

La conquista della trasparenza – antidoto principale e potente alla corruzione – non è un processo semplice né piano, anche perché l'Italia si è mossa con colpevole ritardo. Ma la metamorfosi è avviata ed è bizzarro che siano i rappresentanti delle fasce sociali più offese dalle opacità prepotenti, a frenare, resistere, erigere muri di gomma. Una “bizzarria” che solo gli stessi sindacati possono eliminare, con una radicale autoriforma.

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