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Cinque lezioni dal successo inatteso di Tsipras

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grecia e europa

Cinque lezioni dal successo inatteso di Tsipras

L’Europa assiste interdetta al miracolo Tsipras, il leader di Syryza che i sondaggi davano per morto o comunque malamente tramortito dalle sue giravolte politiche e che invece è risorto dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice. E si interroga sulle ragioni di un incredibile successo. Domanda tutt’altro che oziosa di questi tempi in cui, con rare eccezioni, qualsiasi Governo si misuri con le urne si vota alla sconfitta, più o meno certa o pesante.

Domenica il premier greco aveva tutte le carte in regola per spaccarsi le ossa sul muro del trasformismo: aveva tradito le promesse anti-rigore con cui aveva vinto per la prima volta le elezioni in gennaio, aveva capitolato davanti al diktat dell’Europa su austerità e riforme che aveva giurato di combattere a oltranza, aveva imposto i controlli sui movimenti dei capitali (tuttora in vigore), provocato il collasso delle banche, riportato recessione nel paese e aveva infine incassato la diserzione di un quarto del partito, la frangia irriducibile, perdendo la maggioranza parlamentare.

Pessimo biglietto da visita per chiunque, letale per un “descamisado” finito a Canossa. Invece, dopo aver debuttato al potere da estremista di sinistra, Alexis Tsipras è riuscito a farsi rieleggere, quasi con la stessa percentuale di consensi, nei panni del perfetto realista. Addirittura con un mandato a governare dai contenuti diametralmente opposti al primo: cioè per fare le riforme delle pensioni, del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione e della giustizia, privatizzazioni a tappeto e per aumentare le tasse. Il tutto con il 35,5% dei suffragi, 145 deputati sui 300 del parlamento (solo 4 in meno rispetto alla precedente legislatura), lo stesso distacco di oltre 7 punti sul principale antagonista Nuova Democrazia, la riconferma dell’alleanza con il partito di destra dei Greci Indipendenti e una maggioranza parlamentare di 155 seggi (contro 162).

Carisma personale, capacità di leadership, coraggio di rischiare, sintonia con i sentimenti di un paese umiliato ma comunque deciso a restare in Europa e nell’euro pagandone il prezzo ma liberandosi della vecchia classe politica inefficiente e corrotta, quindi indegna di rinnovata fiducia.

Sono questi gli ingredienti di una vittoria comunque sofferta, di una luna di miele quasi certamente destinata a spegnersi con il progredire di sacrifici e decisioni difficili da adottare e attuare. Sotto la strettissima sorveglianza di Bruxelles, l’erogazione centellinata degli 86 miliardi di aiuti del terzo salvataggio e in attesa della ristrutturazione di un debito da oltre 300 miliardi ormai insostenibile.

Per l’Europa dall’autogoverno sempre più caotico e confuso, quando non scandalosamente fallimentare, le lezioni del voto di Atene sono almeno cinque. E da non trascurare. La prima: le democrazie oggi sono realtà sempre più complesse ma non impossibili da gestire quando incontrano leader che mettono al primo posto l’interesse nazionale e, per difenderlo, poi sono disposti anche a perdere la propria faccia ideologica e a imporre terapie impopolari.

La seconda: se i partiti tradizionali perdono quasi dovunque mordente nella società europea non è tanto per la forza travolgente dei movimenti anti-sistema, nazionalisti, populisti o estremisti che siano, quanto per l’abitudine a occupare il potere che troppo spesso li ha resi inetti e deludenti rispetto a problemi e aspettative di chi li vota. La terza: se oggi Tsipras il “voltagabbana” continua a vincere quando in Europa la sinistra continua a perdere è perché, piaccia o non piaccia, è stato capace di contraddirsi, di aggiornare le sue convinzioni e cogliere l’ineluttabilità, pena il disastro nazionale, della modernizzazione e del recupero di competitività dei sistema-paese nell’era globale.

La quarta: la Grecia alla fine ha dovuto piegare la testa per restare nell’euro ma la sua battaglia contro l’iper-rigore non è tutta caduta nel vuoto: perché gli eccessi si sono dimostrati comunque dannosi sbriciolando sviluppo economico e consensi politici all’euro, perché la consapevolezza degli errori commessi si è fatta strada introducendo nel governo dell’euro più flessibilità e pragmatismo pur nel ribadito rispetto delle regole comuni, perché infine tutti i paesi europei, Germania compresa, hanno bisogno di carburare la ripresa quando l’economia globale frena e i debiti senza crescita si fanno insopportabili.

La quinta: la stabilità politica e sociale dell’eurozona (e della Grecia) è importante almeno quanto quella economica e finanziaria perché viviamo in democrazia e nuove elezioni attendono tra gli altri Portogallo e Spagna. Se fosse stato solo un ricatto, Grexit sarebbe stata una scelta sgradevole, invece è stata un’opzione accarezzata troppo da vicino ed evitata in extremis soltanto perché Tsipras ha trovato il coraggio e l’intelligenza politica di scongiurarla. Gli europei non l’hanno aiutato, anzi .

C’è da sperare che in futuro, se mai si riproporrà una crisi del genere, il gioco si faccia a parti inverse con generale senso di responsabilità collettiva: perché in Europa non c’è davvero bisogno di risvegliare i demoni del nazionalismo, come prova la nuova grande crisi dei rifugiati, e non sempre si incontrano per strada leader giovani e duttili. È più probabile, invece, scontrarsi con l’ottusa caparbietà di politici consumati, incapaci di guardare oltre il filo spinato dei propri reticolati.

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