Commenti

Inevitabile cambiare

  • Abbonati
  • Accedi
l’analisi

Inevitabile cambiare

Dopo lo scandalo dei test truccati, che costa ogni giorno di più in termini finanziari e di credibilità, che strada sceglierà la Volkswagen?

Che al gruppo serva un cambiamento radicale, è ormai evidente. Per ora lo chiedono a gran voce gli analisti e gli investitori, frustrati dalle perdite colossali sul titolo in Borsa. Ma il nodo verrà al pettine già oggi nella riunione di emergenza del presidium del consiglio di sorveglianza (che secondo alcune fonti è iniziata già ieri sera).

Il presidium è un organo direttivo che - orfano del padre padrone Ferdinand Piech, dimessosi qualche mese fa - comprende tre sindacalisti su cinque membri. Una celebrazione di quel sistema della codecisione tipico della Germania e di cui Vw è uno dei pilastri; ma anche un rischio, visto il ruolo del sindacato nel tenere in piedi un sistema - soprattutto a Wolfsburg e all’interno della marca Volkswagen - meno efficiente di quello dei concorrenti.

La Ig Metall ha mostrato in passato grande flessibilità, e le intese di vent’anni fa con la settimana di quattro giorni lavorativi, e al tempo della crisi degli prima anni 2000 con il sistema 5000x5000, contribuirono a salvare l’azienda. Dopo anni di vacche grasse, ora è tornato il momento del realismo.

Il momento era in effetti già delicato per Vw anche prima che scoppiasse lo scandalo dei diesel “truccati”. I successi in Cina, quelli dei marchi premium Porsche e Audi e la crescita delle vendite hanno finora mascherato i costi elevati e la bassa redditività della marca Vw (che in Europa, pur dominando le classifiche di vendita, ha margini di poco superiori a quelli delle concorrenti generaliste); senza contare le difficoltà sul mercato nordamericano, ben anteriori rispetto al diesel-gate.

Un primo passo è stato fatto a luglio con la nomina di Herbert Diess, un ex manager Bmw, alla guida della marca Volkswagen. Ma non basta: troppi manager esterni sono stati in passato vittime di rigetto a Wolfsburg (come Wolfgang Bernhard, fatto fuori proprio da Winterkorn nel 2007 dopo che si era scontrato con i sindacati). Finora Bernd Osterloh, il potente capo del consiglio di fabbrica di Vw, è rimasto al fianco di Winterkorn, come del resto lo aveva sostenuto nello scontro di aprile con Piech; Weil, il presidente della Bassa Sassonia, è sembrato invece tirarsi indietro: alla domanda sul futuro di Winterkorn ha detto di «non voler precedere le prossime intense discussioni».

L’attuale numero uno è davvero la persona giusta per ridare credibilità a Volkswagen? Al di là dell’impatto dello scandalo di questi giorni, ciò che conta è uno scenario in cui Apple potrebbe lanciare la propria auto elettrica nel 2019, ovvero domani, nei tempi del settore. Forse questo allarme (peraltro palpabile a Francoforte in tutti gli stand) è esagerato. Ma Vw si è convertita all’ibrido e all’elettrico con ritardo rispetto a molte concorrenti, e i proclami di Winterkorn proprio a Francoforte («entro il 2020 avremo trasformato tutte le nostre nuove auto in smartphone su quattro ruote») avevano il sapore della rincorsa. «Winterkorn è un ingegnere della vecchia guardia, sa smontare un motore ma probabilmente non sa scrivere una riga di software» dice un osservatore di lunga data del settore.

Se Volkswagen saprà affrontare la crisi, quest’ultima potrà avere un effetto positivo e di rilancio. Certo, il gruppo dovrà abbandonare per qualche anno i sogni di leadership mondiale (come del resto era accaduto alla stessa Toyota qualche anno fa). Ma dispone delle competenze tecniche, dei prodotti e della presenza globale per competere ai massimi livelli. E chi oggi gioisce per le disavventure dei tedeschi, farebbe bene a non abbassare la guardia.

© Riproduzione riservata