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Migranti, la vera alternativa

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etica dei principi

Migranti, la vera alternativa

Un torrente di retorica sta sommergendo un problema vero, quello delle masse di migranti che vogliono entrare in Europa. Mi è capitato di sentir dire, in una trasmissione tv, che l'alternativa sarebbe fra la reporter ungherese che fa lo sgambetto al profugo e i nostri eroici soldati che salvano i migranti in mare. Anche il presidente del Consiglio, che dovrebbe sapere quello che dice, non è riuscito a resistere alla tentazione quando, a chiusura della Festa dell'Unità, ha esclamato urlando: “Non c'è Pd contro le destre, ma umani contro le bestie” (che tristezza, a quanto pare il “complesso dei migliori” non tramonta mai, nemmeno con Renzi…).

Ma le cose non stanno per niente così. L’alternativa non è quella. Sul fatto che i migranti siano (anche) una risorsa per le nostre pigre società opulente sono tutti d’accordo.

Sul fatto che l’Europa possa e debba accogliere una parte di coloro che desiderano farvi ingresso sono tutti d’accordo. Sul fatto che non si possano prendere a cannonate i barconi che tentano di sbarcare in Italia e in Grecia sono, ancora una volta, tutti d’accordo. Anche le “bestie”, per usare la cortese espressione che il nostro presidente del Consiglio riserva alle opposizioni di destra.

Dunque dove sta il dissenso? Qual è la vera alternativa?

A me pare che la vera alternativa l’abbia capita perfettamente Angela Merkel, quando nel giro di una settimana ha cambiato il suo atteggiamento verso i migranti. Prima grandi sorrisi e braccia aperte (specie verso i siriani), poi repentina retromarcia, con sospensione di Schengen e ripristino dei controlli alla frontiera con l’Austria. Perché? Semplice, perché per un attimo – quando la stazione di Monaco è stata letteralmente invasa dai richiedenti asilo – la Germania ha intravisto il rischio di diventare come l’Italia, ovvero un paese nel quale l’afflusso dei migranti avviene in modo caotico, confuso, disordinato, spesso illegale. Alla Germania e alla sua classe politica piace fare i primi della classe in tutti i campi, compresa l’accoglienza, ma non chiedete a un tedesco di accettare il disordine e la continua violazione delle regole.

Ecco, a me pare che questo sia il punto. Per alcuni l’accoglienza è un imperativo etico, cui dobbiamo obbedire senza se e senza ma, perché siamo davanti “a persone, non a numeri”. Secondo questo punto di vista è sbagliato distinguere fra chi scappa da una guerra e chi è alla ricerca di una vita migliore, fra chi fugge da una dittatura e chi fugge dalla miseria. L’accoglienza va data a tutti, compresi quanti non sono ancora sbarcati sul suolo dell’Europa ma stanno tentando di arrivarvi (i passeggeri dei barconi che, dalle coste della Libia, telefonano alla nostra Guarda Costiera per farsi venire a salvare).

Per altri, invece, l’accoglienza è una politica come un'altra, soggetta a regole di opportunità e di buon senso. Abbiamo dei doveri morali, ma fa parte dei nostri doveri calcolare le conseguenze delle nostre azioni e garantire il rispetto della legalità. Il numero di migranti che un paese può accogliere non è illimitato. L’ingresso dei migranti non può avvenire in modo illegale, o con il ricatto morale degli scafisti, che partono già sapendo che non possono arrivare in Grecia o in Italia. Chi migra per ragioni economiche non ha i medesimi diritti di chi fugge da zone di guerra. E chi governa un Paese non può non porsi il problema di gestire e integrare coloro che ne varcano le frontiere.

Queste, a mio parere, sono le due visioni di fondo. Max Weber le avrebbe chiamate “etica dei principi” ed “etica della responsabilità”. Mi permetto di tradurle così: fai ciò che appare giusto, a prescindere dalle conseguenze; oppure: considera le conseguenze prima di giudicare che cosa è giusto.

Ma di quali conseguenze stiamo parlando, nel caso dell’Italia?

Fondamentalmente delle conseguenze non volute dell’apertura quale finora è stata messa in atto. Le più importanti mi paiono tre.

Prima conseguenza. Andando a prendere i migranti fin davanti alle coste della Libia si alimenta l'idea che basti fare poche miglia su un barcone e disporre di un telefono satellitare per essere salvati e traghettati in Italia dalla nostra generosa Marina Militare. Una simile idea moltiplica i tentativi, offre ottime opportunità di guadagno agli scafisti, ma inevitabilmente aumenta anche i morti, perché la probabilità che qualcosa vada storto non è mai trascurabile. In parte, è come il dilemma dei sequestri: se non tratti con i rapitori, metti a repentaglio la vita del sequestrato, ma se non tratti mai i sequestri finiscono, o si riducono drasticamente. È tragico e terribile, ma alle volte salvare una vita oggi significa condannarne altre in futuro.

Seconda conseguenza. L’accoglienza senza filtri in nome dei sacrosanti diritti dei richiedenti asilo fa sì che, in quel canale, si inseriscano centinaia di migliaia di migranti economici, che tali diritti non posseggono. Nessuno conosce le cifre esatte, ma gli ordini di grandezza sono i seguenti: negli ultimi tre anni, a fronte di oltre 300mila sbarchi, le richieste di asilo sono state meno della metà; su 100 richieste esaminate, solo 10 terminano con la concessione dello status di rifugiato; le altre 90 o terminano con un diniego, o terminano con il riconoscimento di altre forme di protezione (cosiddette “sussidiaria” e “umanitaria”). In breve, si può dire che la maggior parte delle persone sbarcate in Italia o non presentano alcuna domanda di asilo, o la presentano e non risultano avere diritto ad alcun tipo di protezione. Stando ai dati ufficiali, si può stimare che, su 100 sbarcati, coloro che presentano domanda di asilo e ottengono lo status di rifugiato sono circa il 6%.

Terza conseguenza. Non avendo l’Italia, in tutti questi anni, allestito alcun serio piano di accoglienza, quel che invariabilmente accade è che, dopo un primo momento di commozione e solidarietà (enfaticamente sottolineato dai media), noi immettiamo i migranti nel tritacarne burocratico-amministrativo-poliziesco del nostro kafkiano paese. Sballottati di qua e di là, donne e uomini sbarcati sulle nostre coste spesso finiscono per diventare un business lucroso per le cooperative cui vengono affidati, nonché fonti di tensione con gli abitanti dei comuni cui vengono coattivamente assegnati. I timori delle popolazioni locali possono anche essere esagerati, ma non si può dimenticare che il tasso di criminalità degli stranieri è 6 volte quello degli italiani, e quello degli stranieri irregolari 34 (trentaquattro) volte.

Si potrà obiettare, naturalmente, che a fronte di simili effetti collaterali della politica di accoglienza vi sono tutta una serie di altre conseguenze, questa volta positive, che l’immigrazione porta con sé. Ma il punto è proprio questo: forse sarebbe ora che dal piano dei principi astratti si passasse alla valutazione delle conseguenze. Mettendo sul piatto della bilancia tutto: il dovere di aiutare coloro che rischiano la vita nel loro Paese, ma anche il diritto di chi li accoglie di non veder stravolta la propria.

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