Oggi gli occhi di tutta Europa sono puntati sulle elezioni in Catalogna. Si tratta di molto di più che di semplici elezioni amministrative. Così a ridosso della consultazione nazionale di novembre, rappresentano il miglior sondaggio della tenuta futura del governo Rajoy, martoriato dagli scandali. Ma il motivo principale di tanto interesse è che dopo la stabilizzazione politica (se non economica) della Grecia, la Spagna rischia di diventare l’area a rischio per l’Europa.
Con una lingua e una storia diverse dal resto della Spagna, la Catalogna ha sempre coltivato tendenza autonomiste, se non indipendentiste. Ma ora sembra aver raggiunto il punto del non ritorno.
Il tradizionale partito indipendentista catalano (Convergencia) ha fatto fronte comune con la sinistra indipendentista di Esquerra Republicana in Uniti per il Sì (Junts pel Si). Questo raggruppamento condivide un unico obiettivo: se otterranno la maggioranza dei seggi nel parlamento catalano (anche senza una maggioranza del voto popolare) hanno promesso che procederanno unilateralmente verso l’indipendenza. Il problema è che i sondaggi gli danno intorno al 40%, una percentuale sufficiente a raggiungere la maggioranza dei seggi. Questioni di legittimità costituzionale a parte, la promessa del Fronte per il Sì potrebbe produrre conseguenze economiche e politiche enormi.
Innanzitutto, l’incertezza istituzionale che questa mossa potrebbe scatenare è l’ultima cosa di cui l’economia spagnola ha bisogno in questo momento. Come già il caso del Quebec dimostra, il rischio di una scissione ha effetti negativi sull’economia, soprattutto per la regione che vuole separarsi. Montreal ha perso il suo predominio economico su Toronto proprio a causa delle continue pulsioni secessioniste che hanno fatto traslocare molte imprese in Ontario.
Nel caso della Catalogna il problema è anche maggiore perché viene introdotta una incertezza istituzionale a livello europeo. Non è chiaro lo stato istituzionale di una Catalogna indipendente vis a vis con l’Unione Europea. Anche se in linea di principio non ci dovrebbe essere nessun ostacolo, in pratica molti dei Paesi appartenenti all’unione potrebbero opporsi all adesione della Catalogna per evitare un pericoloso precedente che potrebbe incoraggiare secessioni a casa loro. Se non appartiene all’Unione Europea, una Catalogna indipendente non potrebbe neppure far parte dell’Eurozona. Si rischierebbe quindi una vera e propria Catalexit, con corsa agli sportelli, blocco dei depositi e via dicendo. Non una prospettiva incoraggiante.
Questi rischi non sono ignoti ai catalani. Eppure sembrano procedere sicuri verso l’abisso. Come tutti i movimenti nazionalisti, anche quello catalano ha una forte componente emozionale che sfugge alla ragione economica. Uno dei pochi economisti catalani che non aderisce a questo movimento mi racconta come anche i più paludati accademici locali si lancino in previsioni assurde sulle magnifiche sorti e progressive di una Catalogna indipendente, mossi più dal patriottismo che dalla ragione. Mi ha anche rivelato che non può più partecipare alle riunioni di famiglia senza che si trasformino in una rissa contro di lui, responsabile di aver tradito la causa nazionalista.
La speranza di bloccare la secessione è affidata alle sorti elettorali di un partito di recente costituzione, che ora sta esplodendo anche a livello nazionale: Ciudadanos (ovvero cittadini). Pur essendo nato in Catalogna, Ciudadanos è un partito contrario all’indipendenza e fortemente europeista. Il suo motto è “La Catalogna è la mia patria, la Spagna il mio Paese, l’Unione Europea il nostro futuro”. Alcuni lo caratterizzano come un partito di centro-destra, altri di centro-sinistra. Forse la migliore caratterizzazione è “Podemos di centro-destra”. Il principale motivo che lo accomuna a Podemos è il forte impegno anticorruzione, una piaga che anche in Spagna pervade i due maggior partiti storici. Qualche anno fa il suo leader – Albert Rivera – ha posato nudo in campagna elettorale, per attirare l’attenzione sul problema della corruzione. In questo potremmo paragonarlo al Movimento 5 Stelle. A differenza del partito di Grillo, però, Ciudadanos ha chiare posizioni liberiste in economia, avendo scelto come consigliere economico Luis Garicano, professore alla London School of Economics con dottorato a Chicago.
Le previsioni danno Ciudadanos tra il 15 e il 20%. Un’affermazione al 20% renderebbe più difficile al fronte per il sì ottenere una maggioranza di seggi, bloccando una deriva indipendentista. Lancerebbe anche Ciudadanos come la vera alternativa alle elezioni nazionali rendendolo determinante per ogni coalizione di governo futura. Una vittoria del Fronte del sì, invece, spingerebbe il resto degli spagnoli a sostenere l establishment di Rajoy, aumentando anche la tensione secessionista in Catalogna e la crisi economico-istituzionale in Spagna ed Europa.
L’Europa è anche questo, una casa comune che può venire scossa dalla piccola Grecia o dalle elezioni amministrative in Catalogna. A noi non resta che guardare e riflettere. Se Syriza e Podemos hanno suscitato un grande interesse nella nostra sinistra locale e se in passato la Lega si era ispirata al movimento indipendentista catalano, Ciudadanos non ha sostenitori ne omologhi in Italia. Purtroppo in Italia l’espressione politica del centro moderato si trasforma per lo più in un centro di potere, privo di afflati ideologici o pulsioni morali. Non che il centro-sinistra oggi brilli su questi temi, ma almeno ha una tradizione, che va indietro a Berlinguer, di sensibilità alla questione morale. Il centro-destra no. A differenza di Inghilterra e Stati Uniti non esiste nel centro-destra una cultura della legalità e delle regole. In Catalogna e in Spagna questo tipo di centro-destra si sta affermando, quanto dovremo aspettare perché accada anche in Italia?
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