Che la coerenza non sia mai stata il suo mestiere preferito è cosa nota. Ma che la democraticissima e pacifica Europa finisse per allearsi con il suo opposto, chiudendo repentinamente più di un occhio sul diavolo dell’autoritarismo e del bellicismo altrui, che sia la Russia di Putin, la Siria di Assad o la Turchia di Erdogan, nella speranza che altri le tolgano le castagne dal fuoco, è funambolismo politico-diplomatico certo non sperimentale ma di sicuro in disuso da qualche decennio. E anche pericoloso.
Il mondo globale si fa sempre più complesso da vivere, i suoi equilibri instabili, la competizione economica spietata, l’alleato americano più distratto e attirato dalla frontiera del Pacifico. Nel grande gioco ogni giorno di più spicca la solitudine della vecchia Europa, il puzzle irrisolto della sua impotenza collettiva insieme all’incapacità di risolvere equazioni di potere mondiale sempre più difficili e incerte.
Del resto il colosso Vw che, per anni e per vendere, truffa su qualità e competitività globale delle sue auto, è la conferma tangibile dei difetti strutturali e della profonda inadeguatezza accumulati dall’intero sistema europeo. Che, in fondo, sono gli stessi che oggi animano scelte spregiudicate ma confuse di politica estera (che peraltro non esiste).
La crisi dei rifugiati, inattesa nelle sue dimensioni, ha mandato in tilt l’Europa. Sabato Angela Merkel l’ha paragonata allo shock della riunificazione tedesca di 25 anni fa invitando il Paese a lanciarsi nell’avventura con la stessa energia e determinazione. «Ci troviamo di fronte a nuovi compiti di cui non conosciamo la portata», ha avvertito. Secondo le ultime stime quest’anno il flusso dei profughi siriani in Germania potrebbe toccare 1,5 milioni di persone.
E così quattro anni di guerra civile in Siria, dimenticata come quelle in Iraq e in Libia, sono improvvisamente diventati di prepotente attualità.
Problemi da affrontare e risolvere subito e ad ogni costo. Come gli aiuti ai campi di raccolta profughi in Turchia che già ne accoglie 2,2 milioni. Tutto va bene pur di fermare o almeno rallentare la valanga umana in arrivo.
Parte da qui lo spettacolo delle contorsioni europee in nome di una Realpolitik che entro certi limiti si potrebbe anche giustificare e sottoscrivere se fossero chiari gli obiettivi di tutti quelli che sono coinvolti nella partita. Ma non è così.
Messa in quarantena internazionale e sottoposta a sanzioni per aver calpestato il principio dell’inviolabilità delle frontiere annettendo la Crimea prima e poi mestando nei torbidi dell'amputata sovranità dell’Ucraina, la Russia di Putin tenta il colpo grosso: far dimenticare agli europei gli accordi di Minsk (violati) in nome della nuova emergenza rifugiati, ergendosi a campione di una pacificazione siriana che passi per la guerra all’Isis e il salvataggio dell’alleato Bashar Assad oltre che dalla tutela delle basi militari russe
nel Paese.
In realtà a Damasco e dintorni i russi continuano a bombardare i ribelli filo-occidentali più dei santuari del Califfato. Peggio. I suoi Mig hanno più volte violato lo spazio aereo turco provocando la durissima reazione di Ankara e la messa in guardia della Nato e degli americani contro le «inaccettabili» incursioni nel cielo di un alleato.
La tensione è altissima. Dopo aver accarezzato l’idea di smarcarsi dalla linea dura dell’America di Barack Obama, l’Europa divisa, con Francia e Germania che non sono in sintonia tra loro, ora rischia di pagare molto caro l'attivismo militare di Putin e le sue rinnovate ambizioni geo-strategiche.
Come scendere a patti con il neo-imperialismo russo? Come regolarsi con Assad, il dittatore che non ha esitato a usare armi chimiche contro il suo popolo ma oggi, nel caos siriano fatto anche di terrorismo ed eccessi islamisti, può rappresentare un'ancora transitoria di relativa stabilità?
E come pretendere la fattiva collaborazione della Turchia di Erdogan per contenere la marea degli immigrati? Facendo finta di non vedere, dopo averli regolarmente denunciati per anni, la deriva autoritaria del Paese, le ripetute violazioni di principi europei fondamentali quali la libertà di espressione, di stampa, di riunione, non meno che la guerra ai curdi dove accuse di terrorismo si mescolano a opportunismi elettorali di bassa lega per neutralizzare nemici politici in crescita e molto scomodi per i disegni di poteri di Erdogan?
L’Europa oggi avrebbe bisogno di una visione chiara e di una politica comune forte per poter negoziare con interlocutori coriacei dalle idee affilate come Putin e Erdogan. Invece, non avendo né l'una né l’altra, si muove a tentoni ostentando una debolezza che non nasce solo dall’eterna disunione ma anche, peggio, dal cinico tentativo di un’utilitaristica sconfessione perfino dei suoi valori identitari. Che però non si dimostra un toccasana anti-crisi. Davvero la democrazia europea può permettersi di pagare il prezzo della complicità, per di più inutile, con autoritarismi vicini
e lontani?
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