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Verdini e le scelte mancate del Pd

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politica 2.0

Verdini e le scelte mancate del Pd

La riforma del Senato va avanti ma il Pd fa un passo indietro. Dopo la mediazione di qualche settimana fa, è sul caso- Verdini che torna lo scontro tra Bersani e Renzi.

Al Senato si continua a votare la riforma ma in casa Pd è tutto come prima, come se quella mediazione sull'articolo 2 – votato senza problemi sabato scorso – non avesse portato passi avanti. L’accusa di ieri di Pierluigi Bersani contro Renzi è pesante: trasformismo e giochi di potere. La difesa dei renziani è altrettanto dura: l’ex segretario alimenta solo tensione e divisioni. Nulla cambia, nulla è cambiato, il nodo resta il rapporto tra minoranza di sinistra e maggioranza renziana ma questa volta è scattato sul caso-Verdini. Su quei voti di supporto alla maggioranza che arrivano dal gruppo costituito dall’ex berlusconiano e che Renzi ha benedetto. Questo è il nuovo fronte dell’area di Bersani che pone il tema dell’identità del Pd e di un «centro-sinistra svilito dai trasformismi».

E la domanda c’è tutta perché non è chiaro se l’appoggio di Verdini si limiterà alle riforme costituzionali - dove tutti auspicano una maggioranza la più larga possibile - o se diventerà strutturale. Cioè oggi sul Senato, domani sulla legge di stabilità, dopodomani sulla giustizia e così fino alle elezioni e fino a immaginare un'alleanza politica.

Nella risposta a questa domanda c’è davvero il succo di quello che Renzi vorrà fare del “suo” Pd fino a quando resterà segretario. Ma c’è anche una domanda per la minoranza di Bersani perché fino a quando invocherà la libertà di dissenso su tutto, senza rispettare la regola che si vota secondo le decisioni prese a maggioranza nel partito, spunterà sempre un Verdini. Se la chiave di tutto è l’unità del Pd, allora si deve trovare un metodo per arrivarci sempre secondo una regola di disciplina. Una volta che c’è una via chiara che garantisce i voti dei Democratici in Parlamento, non c’è più gioco di Verdini che tenga perché il suo taxi non serve più. Questo è il punto davvero ambiguo dentro il Pd che invoca un’unità teorica senza trovare una regola e senza praticarla. Non è chiaro, cioè, se Renzi e Bersani vogliano davvero trovare un modo di convivenza pacifica o se invece preferiscano darsi battaglia all'interno del Pd definendo in questo modo le rispettive identità politiche.

Ma la domanda è soprattutto su Renzi perché guida il Pd e perchè guida il Governo. Sin dall’inizio è stato evidente il suo tentativo di non restare nel recinto di quello che è stato il Pd con il suo elettorato ma di provare l’avventura di sfondare verso il centro-destra ora che Berlusconi non c’è più. Si è disegnato una legge elettorale funzionale a questo progetto politico che abolisce le coalizioni e premia il bipartitismo. E ora che l’Italicum è fatto e la riforma del Senato è quasi fatta, si muove dentro questo progetto politico. La prima scelta forte in questo senso è il taglio delle tasse sulla casa, esteso a tutti, che è uno strappo rispetto alla tradizione del centro-sinistra e che parla direttamente agli elettori di Berlusconi. Bene, Verdini potrebbe essere funzionale a questo disegno e dare un “aiutino” con i suoi voti ogni volta che Renzi non ha l’appoggio della minoranza del suo partito.

L’operazione ha un rischio, quello di scoprirsi troppo a sinistra, di intaccare un’identità, di far perdere riconoscibilità al Pd. La lezione del 40,8% delle europee è che il partito cresce solo se non perde il suo elettorato ma amplia la base elettorale. E Renzi deve trovare temi forti per restare ancorato all’area del centro-sinistra. Temi che anche in Europa restano nel “patrimonio” identitario: immigrazione, Ue e diritti civili.

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