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Le incertezze degli Stati Uniti

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Scenari

Le incertezze degli Stati Uniti

La bomba più fragorosa sganciata dall’Italia per ora è lo scoop, poi smentito dalla Difesa, del Corriere della Sera: l’Italia bombarderà l’Isis in Iraq con quattro Tornado.

Mossa formidabile: gli americani dopo oltre un anno e mezzo si sono accorti che il Califfato occupa Mosul, Ramadi, Falluja e minaccia Baghdad, e quindi c’è bisogno assoluto dell’aviazione italiana. Anche in Libia nel 2011, con un impercettibile ritardo, ci dissero che stavano bombardando l’alleato Gheddafi, poi ci invitarono a partecipare ai raid contro un regime con il quale avevamo firmato pochi mesi prima un trattato di cooperazione e sicurezza e accolto in pompa magna il suo leader a Roma.

Sia chiaro: in discussione non ci sono le Forze Armate, quello che infastidisce è la sensazione di opportunismo che accompagna certe scelte che pure al momento sono soltanto ipotesi. Allora come oggi forse speriamo di ricavarne qualche vantaggio diplomatico o economico o mettere una pezza, come in Libia, al contropiede che ci giocarono i francesi nella nostra ex colonia. Chi ha visto sul campo quasi tutte le missioni belliche italiane all’estero - Iraq ’91, Somalia, Balcani, Afghanistan, Iraq 2003 (Nassiriya)- può affermare che questi vantaggi, accompagnati da vite umane perdute e spese di bilancio notevoli, non si concretizzano mai.

Ogni volta qualcuno cerca di spiegarci che difendiamo interessi strategici - le concessioni sul petrolio iracheno per esempio - che con la presenza militare vendiamo più armamenti, che i nostri alleati della Nato ci saranno grati ripagandoci con ruoli di primo piano che ancora aspettiamo: la Libia è un esempio evidente. Ben poco è stato attuato di quanto suggerito dall’'Italia che pure vantava il migliore diplomatico sul campo. Quindi smettiamo di prenderci responsabilità per decisioni altrui «perché altrimenti veniamo esclusi»: questo è uno stucchevole complesso di inferiorità.

Se volevamo combattere il Califfato in Iraq, dove abbiamo mantenuto una lunga missione militare con dozzine di morti, avremmo dovuto entrare subito nella coalizione anti-Isis in versione combattente. Peraltro questa coalizione si sta rivelando uno dei più incomprensibili fallimenti militari e diplomatici degli Stati Uniti che oggi tendono a presentare la guerra come un conflitto di potenza tra Nato e Russia, non contro i jihadisti.

Qualche mese fa l’ex capo di Stato maggiore Vincenzo Camporini sottolineava, citando dati Usa, che su oltre 4mila missioni aeree in Iraq e in Siria più del 70% erano fallite. Dal 30 settembre al 3 ottobre le forze russe hanno compiuto più di 60 sortite neutralizzando circa 50 obiettivi. Putin è diventato improvvisamente Bufalo Bill? Per le fonti ufficiali di Mosca i target colpiti sono legati all’Isis ma i russi ovviamente fanno fuori senza troppe distinzioni tutti coloro che si oppongono ad Assad, civili compresi, come dimostrarono i bombardamenti in Afghanistan o in Tagikistan.

Questa non è una sorpresa ma la conseguenza di avere lasciato spazio alla Russia senza avere raggiunto nessun obiettivo, perché nessuno degli obiettivi americani è mai stato chiaro: buttare giù Assad o distruggere il Califfato? Nel 2013 volevano bombardarlo per le armi chimiche, poi hanno fatto marcia indietro, ma ottenere in contemporanea tutte e due le cose è impossibile. Lo hanno spiegato anche i generali americani e qualcuno si è pure dimesso.

Le guerre, non da oggi, sono soprattutto propaganda mediatica, spazzata via quando sollevata la polvere dal campo di battaglia restano migliaia di morti, distruzioni, e intere nazioni nel caos. Quando i francesi intervennero annunciando bombardamenti in Siria il presidente del Consiglio Matteo Renzi affermò che bisognava prima di tutto evitare una Libia Bis. Ora evitiamo, come in passato, anche un’Italia Bis.

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