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I rischi del Senato regionale

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POLITICA 2.0

I rischi del Senato regionale

Il voto di ieri ha chiuso virtualmente il Senato ma il caso ha voluto che nella stessa giornata scoppiasse l'ennesimo scandalo di tangenti nella Regione Lombardia. Una coincidenza. Ma visto che i nuovi senatori saranno “scelti” tra la classe politica regionale, questo sarà un punto dirimente nella campagna per il referendum che dovrà promuovere o no la riforma.

Al termine del tormentato cammino della riforma del Senato c'è stato il lieto fine. Tutto il dibattito sui numeri risicati di Palazzo Madama, sui rischi di Renzi e del Governo, sono crollati dinanzi a 179 favorevoli, 16 contrari e 7 astenuti. È vero che le opposizioni non hanno partecipato o sono uscite dall'aula, Forza Italia e Sel, Lega e 5 Stelle, ma rispetto alla prima lettura – quando il partito del Cavaliere votò le riforme – ci sono stati appena quattro voti in meno. Dunque, va innanzitutto riconosciuta la capacità di tenuta del premier sulla maggioranza. Tutte le minoranze interne alla coalizione di Governo sono state alla fine piegate: i malumori della minoranza che hanno trovato sbocco in una mediazione sull'elezione quasi diretta dei nuovi senatori; le insofferenze di Ncd a caccia di una casa politica per il futuro si sono, per un momento, calmate.

Eppure ieri una semplice coincidenza ha acceso un riflettore su ciò che sarà il nuovo Senato. Che non sarà più eletto direttamente dai cittadini ma i nuovi senatori verranno scelti tra i consiglieri regionali e anche i sindaci. E dunque l'arresto di ieri di Mario Mantovani, ex senatore, attuale vicepresidente della Regione Lombardia, fedelissimo di Silvio Berlusconi, diventa la luce fredda sulla nuova riforma. Perché se è vero che finisce il bicameralismo paritario e il meccanismo legislativo sarà più veloce ed efficiente, se è vero che si risparmierà sul numero e sugli emolumenti dei senatori, è anche vero che Palazzo Madama sarà abitato da quella stessa classe politica regionale che continua a essere coinvolta in scandali giudiziari, inchieste e perfino arresti. Alla fine, insomma, è pur sempre la sostanza che prevale sulla nuova veste costituzionale del Senato. Soprattutto se la sostanza sa di corruzione.
Naturalmente Mario Mantovani non è ancora condannato e tantomeno lo è l'ex senatore leghista e oggi assessore in Regione Lombardia, Massimo Garavaglia. Serve quindi aspettare l'esito dell'inchiesta ma questa notizia agisce come un “avviso” politico. Un allarme e un assaggio di come si svolgerà anche la campagna per il referendum. Perché alla fine del processo di riforma - che si concluderà tra febbraio e marzo dell'anno prossimo – ci sarà la consultazione popolare per promuovere o bocciare le nuove regole costituzionali e il fatto che ci siano delle inchieste in corso diventa un ottimo argomento per chi la riforma non l'ha votata.

Sarà il cavallo di battaglia dei 5 Stelle che hanno più interesse di tutti a segnare la distinzione tra “noi” e “loro” anche in occasione della riforma costituzionale. Molto più di Forza e della Lega che la riforma non l'hanno votata ma che dovranno comunque schierarsi per il “no” al referendum confermativo senza avere quell'argomento di “integrità”. Il tema tornerà a essere quello della selezione della classe politica, dei criteri con cui i partiti scelgono i candidati, di una nuova responsabilità di cui i leader si dovranno far carico che è quella di garantire una “qualità” nelle liste che propongono ai cittadini. La strada non è quella delle preferenze visto che tra i più votati dai cittadini ci sono figure finite in carcere come Franco Fiorito “Batman”, ex capogruppo Pdl in Lazio, ma di una credibilità che i partiti devono ritrovare. Le occasioni non mancheranno: a primavera ci sono le elezioni comunali e vedremo quali saranno i candidati-sindaci.

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