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L’uso cinico del dossier

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Scenari

L’uso cinico del dossier

I rifugiati possono diventare un cinico strumento per condizionare le politiche europee e ottenere delle concessioni da Bruxelles. Anche in questa chiave potremmo leggere gli incontri di Istanbul tra Angela Merkel con il presidente Tayyip Erdogan e il premier Ahmet Davutoglu.

A Erdogan e Davutoglu la Merkel ha promesso di riavviare i negoziati per l’ingresso in Europa in cambio di un piano per prevenire una nuova ondata di profughi dalla Siria. Già si era visto dopo il viaggio di Erdogan a Bruxelles che gli europei, pur di tenere lontani i rifugiati, erano pronti a risfoderare soldi e credito politico per un presidente che si gioca la sopravvivenza: se al voto anticipato del primo novembre non ottiene la maggioranza assoluta, escludendo dal Parlamento il partito filo-curdo Hdp, la sua parabola è destinata a imboccare una precipitosa fase discendente perché sarà costretto a fare dei governi di coalizione e naufragherà il suo obiettivo di cambiare la costituzione in senso presidenziale. La manipolazione è l’arma più acuminata in mano a Erdogan per presentarsi da leader al G-20 di Antalya. Quando ha visto dopo le elezioni del 7 giugno scorso che il partito curdo era il suo vero problema, non ha esitato a rompere la tregua con la guerriglia del Pkk che a sua volta ha attaccato le forze di sicurezza turche innescando una durissima rappresaglia in Anatolia. Erdogan ha così giocato la carta anti-curda, alimentando i sentimenti più nazionalisti, come l’unica chance per vincere le elezioni.

Questo almeno fino all’attentato di Ankara che ha sollevato ondate di protesta contro il presidente e il governo accusati dall’opposizione di essere complici, con l’appoggio alla guerriglia jihadista anti-Assad, della destabilizzazione del Paese. Ora l’apertura di Bruxelles e della Germania va in soccorso a un Erdogan in difficoltà anche nei sondaggi.Come è stata ottenuta questa svolta, dopo che per anni Erdogan e la Turchia erano stati lasciati a marcire nell’anticamera europea? Ankara, che dal 2011 aveva assorbito senza battere ciglio due milioni di rifugiati siriani ha improvvisamente alzato le paratie per lasciarli partire verso l’Egeo facendo anche leva sui sentimenti di colpa dell’Occidente che ben poco ha fatto per fermare la guerra e le sue conseguenze. Tutto fa pensare che si sia trattato di una decisione politica, oltre tutto le nuove ondate di rifugiati appartengono alla borghesia istruita e ai curdi, ben poco inclini a mostrare simpatia per i jihadisti, gli islamici e lo stesso governo turco. Ma c’è anche l’ipotesi che la Turchia di Erdogan, manovrando i flussi dei profughi, abbia inviato all’Occidente un messaggio preciso: Ankara vuol dire la sua sul futuro di Assad, salvato per ora dall’intervento di Putin.

La Turchia insiste soprattutto per insediare in Siria una zona cuscinetto destinata ai profughi. In realtà la “buffer zone” è mirata alla penetrazione delle forze armate non tanto per fare la lotta al Califfato ma per spezzare la continuità territoriale dei curdi siriani ai confini della Turchia. Non è infondato il sospetto che Bruxelles, pur continuando a sbandierare la questione dei diritti e delle libertà civili, stia in parte vendendo a Erdogan il destino dei curdi. Una cosa è certa: Ankara sa come negoziare con un'Europa presa alla gola. «La Turchia non è un lager, non possiamo accettare un accordo del tipo “noi vi diamo i soldi e loro restano in Turchia”», ha dichiarato Davutoglu dopo l’incontro con la Merkel. La Sublime Porta non si apre e si chiude a piacimento, come vorrebbero a Bruxelles e a Berlino.

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