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Storia delle religioni, una risposta al deserto

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scuola & società

Storia delle religioni, una risposta al deserto

Recenti inchieste confermano una tendenza già visibile da almeno un decennio, e cioè che nelle nostre scuole l’insegnamento facoltativo della «religione cattolica» è in forte declino, più sensibilmente al Nord che al Sud. È un peccato sempre vedere aule vuote, quale che sia la disciplina insegnata; ma il principio di libertà di scelta (e di rifiuto) è preminente.

S’aggiunga che, in molte zone delle aree urbane periferiche, la religione cattolica non è neppur più quella più praticata: le immigrazioni recenti hanno introdotto comunità greco-ortodosse e islamiche molto più fedeli ai dettami del loro credere. Si tratta di un fenomeno europeo e proporrò qui un solo esempio: la capitale amministrativa di una delle porzioni più integrate di ciò che chiamiamo Occidente, e cioè la Comunità Europea, è Bruxelles. Non è una megalopoli come Londra o come Parigi, non ha banlieues eccedenti; è una città abbastanza ricca e stabile. Bene, oggi la religione più praticata –dicono le statistiche – è quella islamica. Domani lo sarà certamente a Parigi, dopodomani qui. Verrebbe da domandarci (piccola divagazione) se sia stato poi così sensato puntare tutto – nelle nostre democrazie – sul processo di secolarizzazione della religione condivisa (quella cristiana, che almeno aveva il vantaggio di più secoli di convivenza, pur reciprocamente difficile, con lo Stato) quando ora si dovrà fare i conti – proporzionalmente ben più ardui – con una religione in espansione (sottolineo: tra gli abitanti già inseriti) per nulla secolarizzata. Transeamus.

Ma in Italia il problema presente è un altro: se convenga cioè – pur di avere in aula la «religione cattolica» facoltativa e sempre per meno studenti – rinunciare a un insegnamento, obbligatorio come le altre discipline, di «storia delle religioni» intesa come storia del patrimonio costitutivo, di credenze, di miti, di culti, proprio di tutte le civiltà, dai greci e romani alle religioni che s’incrociano oggi nei grandi flussi migratori del Mediterraneo.

Gioverebbe anche ai cattolici tale insegnamento: poiché, in luogo di far coltivare dallo Stato deserte solitudini, converrebbe apprendere, da parti di tutti, che il «sommo Giove» è dio latino, certo, ma non meno emblema possente invocato cristianamente da Dante: «E se licito m’è, o sommo Giove / che fusti in terra per noi crucifisso, / son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?» (Purg., VI, 118-120). Perché perdere l’enorme patrimonio che il cristianesimo ha condotto a unità di civiltà, di speranze, di sogni? E non è bello pensare a tutti gli elementi di continuità, nella sete di credere, piuttosto che alle puntigliose disgiunzioni? Basterebbe rileggere Hugo Rahner s.j., Miti greci nell’interpretazione cristiana (Il Mulino 1957, e poi EDB 2011]. Sì, omnia Jovis plena: confermano Virgilio e sant’Agostino: anche noi veneriamo quel Giove del quale Virgilio dice «tutto il mondo è pieno di divino».

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