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«Aprite subito un'ambasciata all'Unione africana»

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FORUM CON NKOSAZANA DLAMINI-ZUMA

«Aprite subito un'ambasciata all'Unione africana»

«L'Africa è la nuova frontiera dello sviluppo economico. Cerchiamo di creare una cornice per favorire questo sviluppo, che punti il più possibile all'integrazione, alla stabilità politica e alla pace e che sia il più possibile inclusiva. Europa e Italia, in particolare, giocano un ruolo importante in questo processo di sviluppo. Usa e Cina hanno aperto le rappresentanze diplomatiche presso l'Unione africana. Perché non lo fa l'Italia? Sarebbe il primo Paese europeo». Nkosazana Dlamini-Zuma, 66 anni, è la prima donna che presiede la Commissione dell'Unione africana, dal luglio 2012. Sudafricana, ex moglie del presidente Zuma, è stata ministro della Salute nel primo governo di Nelson Mandela, dopo la fine dell'apartheid.

Al forum organizzato dal Sole 24 Ore, NkosazanaDlamini-Zuma, presidente dell'Unione Africana (Ua), illustra gli obiettivi per rilanciare lo sviluppo del Continente. «All'ultimo vertice dei capi di Stato africani , a inizio anno, abbiamo lanciato Agenda 2063, il documento che pone le basi per lo sviluppo dell'Africa nei prossimi anni. L'Africa che vogliamo deve puntare a una crescita inclusiva e a uno sviluppo sostenibile, basato sugli ideali del pan-africanismo e sulla visione di un Rinascimento africano. Energia, infrastrutture e agricoltura sono i settori sui quali puntiamo per creare questo sviluppo».

Presidente, dal giugno 2014 i prezzi del petrolio sono crollati. I Paesi africani produttori di idrocarburi hanno accusato il colpo. C'è stata una ricaduta sui budget nazionali, con forti tagli; il pericolo è che rallentino i piani infrastrutturali e le indispensabili riforme economiche.
La caduta delle quotazioni petrolifere sta indubbiamente creando dei problemi, ma voglio ricordare che l'Africa non è solo petrolio e gas. Dispone di grandi risorse: molti minerali, risorse idriche, agricoltura. È un continente ricco ma con molti poveri. Sul fronte energetico puntiamo allo sviluppo delle fonti rinnovabili; eolico, solare, geotermico. Sul fronte dell'agricoltura voglio ricordare che il 60% delle nostre terre agricole non sono sfruttate. C'è molto da fare per la nostra agricoltura; in termini di modernizzazione, industrializzazione, irrigazione. Sarà poi decisivo sviluppare le infrastrutture interne; strade autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, per facilitare la circolazione di merci e persone. Ma dobbiamo creare le condizioni perché anche i trasporti e la logistica gradualmente passino in mano agli africani. La risorsa più preziosa è comunque la nostra gente. Siamo il Continente più giovane con la popolazione più giovane. La formazione è una priorità.

L'Eni è il primo operatore energetico estero in Africa. La sua politica è ora quella di sviluppare un nuovo asse: da Nord a Sud, vale a dire dall'Europa e dall'Occidente all'Africa. L'obiettivo è non solo esplorare e trovare nuove risorse – le grandi scoperte nel gas in Egitto e in Mozambico lo confermano – ma anche far crescere i consumi interni in Africa.
Noi diamo il benvenuto alle aziende straniere come l'Eni che scelgono di puntare sull'Africa per crescere e svilupparsi. Rispetto al passato le cose sono cambiate. Ora cerchiamo di lavorare con player stranieri con contratti win win. Che convengano agli africani e alle società straniere. Non è più possibile che gli introiti per la vendita delle materie prime finiscano fuori dal continente. Ci auguriamo, inoltre, che le compagnie straniere investano anche nel settore downstream. In Africa ci sono diversi grandi Paesi produttori di petrolio che debbono importare benzina. Passando ai consumi, l'Africa non deve essere vista esclusivamente come un consumatore ma anche come un produttore.

Il nostro primo ministro Matteo Renzi ha detto che l'Italia nei prossimi 20 anni dovrà essere leader in Africa.Come viene percepito da voi questo proposito?
L'Italia è uno dei principali Paesi partner, all'avanguardia per il suo modello di sviluppo legato alle piccole e medie imprese. Un modello che si adatta bene alle caratteristiche dell'imprenditoria africana. Per questo può giocare un ruolo decisivo con i partner africani. L'Europa, e l'Italia che dell'Europa fa parte come uno dei Paesi fondatori e più importanti, è il partner più vicino all'Africa. Ma bisogna pensare oggi a delle partnership win win, in cui non ci sia un Paese sviluppato e un Paese dipendente con cui fare affari. I contratti vanno fatti su un piano di parità, devono essere profittevoli per entrambi. Spero che ciò avvenga con l'Italia, perché il vostro Paese può giocare un grande ruolo, a livello di università ma soprattutto a livello di cooperazione e di fornitura alle aziende. Penso ai macchinari ma anche alla formazione. Voi siete all'avanguardia in tanti settori produttivi. Penso all'agricoltura, all'alimentare, all'edilizia. Avete le piccole e medie imprese come modello di sviluppo diffuso che si adatta perfettamente alla nostra realtà. Un modello da esportare. Non solo i macchinari ma anche le conoscenze fanno parte del patrimonio made in Italy. La formazione è fondamentale per trasferire i processi e le migliori pratiche produttive. E l'esportazione delle conoscenze fa parte di questo processo.

L'Africa rappresenta il 15% della popolazione mondiale ma solo il 3% dei consumi. L'Europa, invece, ha l'8% della popolazione e contribuisce al 12% dei consumi. Cosa si può fare per accrescere i consumi africani?
Si sta creando una classe media africana in tanti Paesi che hanno da anni dei tassi di crescita elevata. Sì, proprio così, sta crescendo una classe media africana. Gli africani sono diventati consumatori. Dobbiamo promuovere e far crescere i consumi interni. C'è tanto da fare e ci sono opportunità per le aziende straniere che creano beni di consumo; per la grande distribuzione, la logistica, la catena del freddo. Occorre però puntare a un maggiore equilibrio. Dobbiamo essere anche noi produttori. Importiamo l'83% del cibo che consumiamo. È uno scandalo.

C'è un'Africa a due facce. Che cresce a doppia cifra. Un'Africa che riesce a organizzare i mondiali di calcio con sponsor africani. Ma anche un Continente che stenta, dove resiste la povertà endemica, dove ci sono ancora instabilità e conflitti.
Ci sono due realtà; c'è chi sta più avanti e chi resta più indietro. Quello che stiamo cercando di fare noi come Unione africana è creare dei programmi di integrazione, che sono quelli contenuti nell'Agenda 2063 e che verranno tradotti nei prossimi anni in Piani nazionali di sviluppo. Tutto ciò è finalizzato a spingere l'integrazione politica ma soprattutto economica del continente ed evitare che i Paesi rimasti indietro restino sempre più indietro. Lo sviluppo, come ha detto qualcuno, è l'altra parola della pace. Se creiamo il Mercato unico sarà più facile e meno costoso comprare merci e ottenere stabilità.

Alcuni imprenditori sostengono che negli ultimi mesi il quadro stia migliorando. Resta il fatto che la Libia è ancora ostaggio di una profonda crisi che rischia di degenerare ulteriormente. Cosa può fare l'Italia?
Le Nazioni Unite stanno cercando di risolvere il problema della Libia, ma da sole, senza l'Unione africana e i Paesi africani. Penso che così non ce la faranno. Non è facile perché bisogna coinvolgere tutti gli attori interessati. Senza il coinvolgimento di tutti non c'è una soluzione. La Libia è un Paese complesso, non si risolve una crisi come questa dalla notte al giorno. L'Italia, Paese vicino geograficamente e culturalmente, può svolgere un ruolo importante.

La corruzione resta un problema.Come intendete combatterlo?
Come Unione africana abbiamo creato delle regole - le democracy chapters - che stiamo cercando di allargare a tutti i Paesi africani. Per ora sono state ratificate da 22 paesi. Stiamo spingendo perchè aderiscano anche gli altri. Vorrei tuttavia concludere con un augurio: se riusciremo a vincere le sfide che Agenda 2063 disegna per l'Africa - prosperità, sviluppo, stabilità politica, integrazione - tutto ciò è quello per cui Nelson Mandela ha combattuto.

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