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Gli azzardi della politica poco amica dei numeri

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Italia

Gli azzardi della politica poco amica dei numeri

La politica e i numeri spesso non coincidono o divergono, a maggior ragione quando ci si addentra nei quadri di previsione dove molte variabili sovranazionali la fanno da padrone e possono incenerire le attese dei singoli governi. Così è meglio provare a distinguere i due livelli, e la legge di Stabilità 2016 è in questo senso un’occasione preziosa.

A riprova, basta rammentare che la presentazione alle Camere (e a Bruxelles) della legge più importante dell’anno è stata ritardata per accostare la politica ai numeri e viceversa, raccordando i primi annunci (politici) al testo legislativo in via di elaborazione e poi ricalibrando gli stessi annunci dopo aver saggiato il terreno, sempre a testo “aperto”. Una prassi ricorrente, certo riprovevole, ma assai comoda e per la quale la tagliola della “tolleranza-zero” scatta solo in punta di diritto, come si dice.

Dunque, la politica. Quello con la Commissione sarà un confronto difficile nei consueti meandri della governance europea ma la legge di Stabilità 2016, a Bruxelles, verrà promossa e non bocciata. Compariranno rilievi e richiami al rispetto della regola sul debito e non è affatto scontato che il governo ottenga un maggiore margine di flessibilità pari allo 0,2% del Pil a titolo “emergenza migranti”. Però è un dato che l’Italia e Renzi vengano oggi vissuti come in transizione verso l’auspicato cambiamento di fondo.

Al quotidiano finanziario tedesco Borsen-Zeitung, il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, ha detto che i «punti nevralgici dell’economia italiana sono la bassa produttività e la crescita debole» e che i dati pronosticati per il 2015 e 2016 (Pil a +0,7% o qualcosa di più, +1,6% l’anno prossimo) sono «un buon risultato ma non basteranno per ridurre i ritardi in termini di produttività». D’altra parte, in Italia «fare le riforme è molto difficile» perché sono «innumerevoli i gruppi d’interesse». Ma «in ogni caso –ha aggiunto Rossi sottolineando l’abolizione del bicameralismo totale ed il Jobs Act- nessun governo del dopoguerra ha dimostrato una volontà riformatrice come il Governo Renzi».

Un giudizio del genere contribuisce a ben spiegare questo passaggio italiano e il contesto politico (positivo) che farà da sfondo all’esame europeo della legge di Stabilità. In un anno che si chiude all’insegna della “flessibilità” di bilancio (e non del suo contrario) e in cui le voci più aspre del “rigorismo” in salsa tedesca debbono fare i conti, di fatto, con le perniciose conseguenze del caso Volkswagen. Un buco nero in termini di credibilità che accredita una maggiore rilassatezza anche nelle fila degli esaminatori più occhiuti.

Quanto ai numeri, al netto di una discussione analitica sull’entità dell’impatto espansivo della manovra 2016, vale la pena innanzitutto rilevare che quelli italiani dovranno comunque rapportarsi con le previsioni d’autunno che la Commissione europea presenterà il 5 novembre prossimo.

E qui sta un punto delicato, perché questo sarà lo sfondo contabile che verrà messo sul tavolo del confronto con l’Italia e perché è evidente che quanto più i numeri europei si avvicineranno a quelli italiani tanto più l’esame sarà meno ostico. Mentre nel caso di una maggiore divergenza avremmo un negoziato più duro, in particolare sul fronte del rapporto debito-Pil, dove la prima condizione per sgonfiare la palla al piede dell’Italia sta in una maggiore crescita della ricchezza nazionale.

Prendiamone allora due, di numeri: le previsioni sulla crescita (Pil +1,6%) e sull’inflazione (+1%), che può incidere anch’essa sul Pil aumentandone il valore nominale. Per il consigliere di Renzi a Palazzo Chigi, Yoram Gutgeld, non ci sono comunque problemi: «Il rapporto debito-Pil inizia a scendere con una crescita –crescita reale più inflazione- all’1,7% o 1,8% e ci riusciamo anche con inflazione vicina a zero» (al Corriere della Sera, il 21 ottobre).

Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan (Forum al Sole 24 Ore, il 20 ottobre) si dichiara invece «preoccupato» per il corso dell’inflazione (o meglio della deflazione persistente che secondo Morgan Stanley attanaglia il 70% dell’economia mondiale). Mentre cominciano a infittirsi le previsioni di una crescita più bassa dell’1,6% prevista dalla legge di Stabilità.

Tutto da verificare, in un senso e nell’altro. Con una conferma, però: avvicinare i numeri alla politica, e la politica ai numeri, è sempre molto complicato.

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