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Unioni gay, l’inutile polemica contro le toghe e la «colpa»…

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POLITICA 2.0 - ECONOMIA & SOCIETÀ

Unioni gay, l’inutile polemica contro le toghe e la «colpa» di una politica che non decide

Se ieri è scoppiata la bufera sul Consiglio di Stato e sul giudice Deodato per il “no” alla trascrizione delle nozze gay, la responsabilità è di un Parlamento ancora latitante sul tema dei diritti civili. E questo è tanto più stridente ora che si è appena concluso un Sinodo in cui il Papa ha avuto posizioni coraggiose sulla società e sulla famiglia.
Brevemente i fatti: una sentenza del Consiglio di Stato ha negato la trascrizione delle nozze gay celebrate all’estero dando ragione al ministero dell’Interno che si era appellato ai giudici. Il punto è che uno dei cinque magistrati che hanno deciso la sentenza – Carlo Deodato – aveva citato su twitter vari contributi provenienti da testate cattoliche schierate contro le unioni gay. Da qui il caso politico e la polemica contro il magistrato che però si è difeso dicendo che si tratta di una sentenza collegiale e che ha applicato la legge in modo a-ideologico. Ecco il nodo: che una legge ancora non c’è. È ancora in discussione, bloccata dalla resistenza di Ncd, il partito del ministro Alfano che si è appellato al Consiglio di Stato. Il nostro ritardo legislativo è stato già condannato dall’Europa, sui diritti civili l’Italia è tra i Paesi più arretrati e così tocca muoversi tra sentenze e ricorsi nella piena latitanza della politica e del Parlamento. Eppure sono passati già 10 anni da quando il Governo Prodi affrontò la questione, senza successo, con i “Dico”. E fu celebre la sua frase «sono un cattolico adulto» con cui il Professore sfidò il cardinal Ruini sui temi etici. Lui ebbe senz’altro più coraggio del giovane leader Pd soprattutto se paragoniamo quei tempi con quelli attuali.

Cosa è cambiato. Prima di tutto che si è appena concluso un Sinodo in cui il Papa ha assunto posizioni coraggiose, peraltro molto controverse e combattute, sul tema della famiglia e dello stare dentro i cambiamenti della società. È arrivata l’apertura ai divorziati ma non un riconoscimento sulle unioni gay - ma - come spiegavano alcuni partecipanti al Sinodo, quello è un compito che spetta a uno Stato e a un legislatore che per definizione devono regolare ciò che la realtà pone come fatto e come questione da risolvere. Anche la scelta di ieri del Pontefice di nominare due “preti dei poveri” arcivescovi di diocesi importanti come Palermo e Bologna dimostra quanto sta cambiando quella sponda vaticana su cui larga parte della politica italiana si era adagiata soprattutto in tema di diritti civili.

Sembra, insomma, che quel mondo politico trasversale - che oggi vediamo opporsi al Ddl Cirinnà sulle unioni gay - sia rimasto ai tempi del cardinal Ruini. È come se si fossero bloccati lì, alla ricerca di una sponda d’Oltretevere che ormai non c’è più come una volta. E sarà quest’assenza che alla fine sfilaccerà l’opposizione parlamentare alla legge, molto più che la convinzione di Renzi. Il premier, infatti, finora è stato un po’ lontano, si è dichiarato favorevole alla legge ma ha anche accettato i tempi lunghi e le sabbie mobili senza una presa di posizione forte. È come se il suo fosse un atto dovuto, non una posizione politica da rivendicare, non un gesto da “cattolico adulto”. Tra l’altro è un leader quarantenne e dunque calato in una realtà totalmente diversa da un po’ di anni fa. Il suo slogan sulla rottamazione è stato in fondo il grido di una generazione che voleva mettere la realtà italiana al passo con quella degli altri Paesi europei. E invece su un tema fondamentale come i diritti civili ci si muove ancora tra ministeri, ricorsi e Consiglio di Stato. Come se fosse una polemica di giornata e non una realtà di cui la politica deve farsi carico.

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