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Il «metodo» Milano

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OBIETTIVO RAGGIUNTO

Il «metodo» Milano

  • –di Lello Naso

Non bisogna avere il timore di chiamare le cose con il loro nome: Expo è stato un successo. L’organizzazione, le presenze, la proiezione internazionale di Milano e dell’Italia, le opportunità di business avute dalle imprese e il sistema Paese sono state all’altezza di un grande evento internazionale.
Non solo: Milano ha reinventato e rilanciato il format della stessa manifestazione, con un taglio anche economico, tanto che il management milanese si trasferirà in gran parte a Dubai per organizzare l’edizione 2020. E molte grandi città, come Londra e Parigi, si sono candidate a ospitare l’edizione 2025 riportando Expo nel ventaglio delle manifestazioni internazionali di prima fascia, come Olimpiadi e Mondiali di calcio.
Tutto ciò – anche in questo caso non bisogna avere il timore di chiamare le cose con il loro nome – nonostante una pessima gestione della fase preparatoria dell’evento. Proprio oggi, mentre si dà atto del buon risultato, non si devono dimenticare i ritardi per l’acquisizione dei terreni, le beghe Governo-Regione-Comune per definire la governance, gli scandali per gli appalti truccati. Tre anni orribili seguiti all’assegnazione dell’evento a Milano, che hanno rischiato di mandare all’aria la stessa manifestazione.
Le cose sono cambiate con la nomina di Giuseppe Sala commissario unico e con una legge speciale che gli ha conferito pieni poteri e, soprattutto, con la creazione dell’Autorità anticorruzione affidata al magistrato Raffaele Cantone che ha controllato ex ante tutti gli atti e sminato il rischio di vedere i lavori bloccati dalla magistratura per inchieste sulla corruzione.

Il rush finale ha portato all’ultimazione del sito e a un avvio di Expo con il fiatone. È stata, non a caso, una partenza a rilento. I potenziali visitatori hanno atteso di toccare con mano che il sito fosse stato ultimato a regola d’arte, fosse raggiungibile e fosse efficiente. A verifica conclusa, la manifestazione è decollata. A Milano sono arrivati oltre 21 milioni di visitatori, sessanta Capi di Stato e di Governo, trecento delegazioni internazionali, si sono tenuti circa 40mila incontri d’affari e centinaia di visite di imprese nei territori. In sei mesi, come ha detto il direttore di Unioncamere Lombardia e di Promos Milano, Pier Andrea Chevallard, è stato accelerato il business di 15 anni.
Adesso si faranno i conti: si capirà se Expo – con la vendita dei biglietti, le sponsorizzazioni e l’incasso delle royalties sulle attività all’interno del sito – chiuderà il bilancio in pareggio. O se il Paese dovrà pagare, e in che misura, quello che non può essere considerato un costo ma un investimento sul futuro di Milano e dell’Italia.
L’eredità di Expo non è affatto da sottovalutare. Ha obbligato Milano a tornare città del fare – dalla nuova metropolitana allo sviluppo urbanistico di Porta Garibaldi e Porta Vittoria, dal ripensamento della viabilità allo stimolo ai privati che ha partorito la Fondazione Prada e il Mudec – e l’ha rimessa, come ha detto Cantone, alla guida etica e morale del Paese. Expo è la dimostrazione, faticosa, che se si va oltre gli egoismi di parte e alle fazioni c’è spazio per lo sviluppo e la crescita.

Oggi non bisogna sprecare l’occasione. Serve, subito, una governance forte per la gestione del dopo-Expo, affidata a un uomo dotato di capacità e carisma. Che sovrintenda alla dismissione dei Padiglioni, fase delicatissima, e curi un progetto che faccia di quell’area il cuore del futuro tecnologico e industriale del Paese. Con le Università, i laboratori di ricerca, gli incubatori d’impresa e le start up, le multinazionali e la parte più avanzata della pubblica amministrazione nella stessa area. Il sito di Rho, perfetto per logistica circondato com’è da aeroporti, alta velocità ferroviaria e autostrade e perfettamente cablato, può essere il centro di questo progetto e la Lombardia la sua emanazione manifatturiera. Il progetto elaborato da Assolombarda è un’ottima base di partenza.
Il dopo-Expo è la metafora di quello che potrà essere l’Italia. Siamo a un bivio: da una parte c’è la strada che porta verso il futuro. Dall’altra il rischio che su quell’area si scateni una querelle uguale al pre-Expo. Un Paese serio e responsabile non avrebbe dubbi su quale direzione imboccare. Senza perdere tempo.

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