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Rafforzare il sistema innovativo della ricerca

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in tempi di globalizzazione

Rafforzare il sistema innovativo della ricerca

È giunto il tempo di mettere mano alla riorganizzazione degli enti pubblici di ricerca. Nel momento in cui si delineano i primi segni di ripresa, bisogna porre grande attenzione al rischio di sottodimensionamento e frantumazione di quel sistema nazionale della ricerca, che deve costituire l'infrastruttura essenziale per un paese che non solo vuole essere in crescita, ma vuole essere leader nelle scelte di sviluppo di questa Europa.

A quindici anni dagli accordi di Doha che hanno aperto il commercio mondiale alla Cina e agli altri paesi emergenti” oggi appare evidente che il primo effetto della globalizzazione, dagli anni dal vecchio al nuovo secolo, è che oggi le imprese leader giocano su tutti i quadranti mondiali, riposizionando le diverse attività produttive in ragione delle condizioni ambientali ed istituzionali che i diversi governi riescono ad offrire.

Superata la fase della concorrenza unicamente di prezzo su prodotti di massa, ed in via di superamento anche l'epoca di una concorrenza di prezzo su prodotti differenziati, siamo entrati in una fase di “ipercompetition” in cui la concorrenza è incentrata sulla capacità di rispondere - ed anzi di stimolare - bisogni sempre nuovi, misurandosi con le necessità di popolazioni sempre più diverse e di un pianeta sempre più fragile.

In questo ridisegno globale delle catene del valore si distinguono oggi nettamente i territori in cui posizionare la testa di questi cicli produttivi, cioè dove si disegnano i nuovi prodotti e si governano reti produttive sempre più ampie, e le aree periferiche in cui si producono attività a basso valore aggiunto, perché limitata e mediocre e' la disponibilità locale di competenze, di conoscenze e, aggiungerei, di capacità di visione di lungo periodo

Questa è la scelta di base della nuova politica industriale: voler essere il luogo della “testa” di cicli produttivi globali, o accontentarsi di navigare nel grande mare delle mille periferie in cui si articola il mondo attuale.

Se per stare nelle periferie si possono dare incentivi e sussidi per localizzare impianti di “produzioni fatte”, per attrarre la testa dei cicli di produzione occorrono infrastrutture che possano garantire competenze e conoscenze per governare la “produzione da farsi”.

E per questo una politica industriale adeguata alle sfide di oggi richiede una azione di rafforzamento e riorganizzazione di quel sistema nazionale di innovazione , che lega nelle sue interconnessioni università, enti di ricerca, imprese, istituzioni, con l'obiettivo di trasformare questo nostro paese da un “paese con innovatori” in un “paese innovatore”.

Ed allora bisogna rilanciare il ruolo degli enti pubblici di ricerca, a partire dal CNR, il cui statuto è stato cambiato a maggio scorso, per permettere a questo ente, che è e deve essere il perno del nostro sistema nazionale di innovazione, di essere riconosciuto pienamente come la prima interfaccia fra la parte più innovativa della nostra industria e la parte più dinamica della ricerca europea.

Questo non vuol dire ridurre università ed enti di ricerca ad operare per risolvere i problemi attuali o passati delle singole imprese, ma vuol dire dare al sistema produttivo la certezza di operare in un ambiente in cui si riprende insieme un percorso lungo di esplorazione e investigazione sui temi essenziali della vita collettiva. Vuol dire dare a tutto il nostro sistema produttivo ed istituzionale quelle competenze, quelle conoscenze, ma anche quelle strutture tecniche, che possono permettere a vecchie e nuove imprese di spingersi verso i nuovi confini di una competizione globale, in cui non ci si può più accontentare di essere followers, ma bisogna avere la fondata ambizione di essere leader.

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