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La mediazione politica il vero costo da tagliare

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regioni e sanità

La mediazione politica il vero costo da tagliare

Ci risiamo. Puntuale come il freddo d’inverno o il caldo in estate, alla presentazione della legge finanziaria si ripropone lo scontro tra regioni e governo. Le prime dicono che i tagli sono eccessivi e che saranno di conseguenza costrette a tagliare i servizi, cioè usando il prevedibile malessere dei cittadini come strumento di pressione sul governo; il secondo mostra i muscoli («Ci sarà da divertirsi») e minaccia sanzioni. Nei fatti poi si mettono d’accordo e gli interventi pattuiti ed effettuati sono generalmente minori di quanto previsto nella legge di stabilità. E poi si ricomincia.

Lo scenario è oggettivamente un po’ noioso; difficile che riesca ad appassionare i cittadini. Nel caso specifico poi non si tratta nemmeno di un taglio - il finanziamento della sanità dovrebbe crescere di circa un miliardo rispetto all’anno scorso - ma di una riduzione di due miliardi rispetto a quanto il governo si era impegnato a dare alle regioni solo pochi mesi fa. Le regioni lamentano la violazione dell’accordo, che fa il paio con una simile violazione, per altri due miliardi, introdotta l’anno scorso rispetto al patto deciso l’anno prima.

E questo forse è il primo punto che merita un commento. Visto che comunque non funzionano, forse è meglio rinunciare a questi patti separati sulla sanità. Non si capisce bene perché la sanità dovrebbe avere un trattamento separato rispetto all’altra spesa dello Stato, si tratti della scuola o della giustizia. La giustificazione formale è che si tratta sì di una spesa largamente finanziata o comunque garantita dallo Stato, ma che viene gestita da un altro governo, cioè le regioni, e che dunque richiede un approccio diverso. Ma nei fatti, il sistema dei patti separati sulla salute si è rivelato un modo per “proteggere” un pezzo di spesa pubblica rispetto alle altre, in quanto presidiata da politici potenti (sebbene ora un po’ appannati) come i governatori regionali.

Non a caso, la conseguenza è stata che mentre abbiamo in passato picchiato senza pietà sulla scuola o sull’università, la sanità è rimasta finora esente da interventi massicci.

Non che come paese spendiamo molto sulla sanità; ma certo che se si cercasse di spiegare la crescita della spesa sanitaria negli ultimi 15 anni solo sulla base di variabili economiche come il costo dei farmaci e delle apparecchiature mediche o l'invecchiamento della popolazione, si farebbe una gran fatica. L'intermediazione politica ha giocato un ruolo altrettanto rilevante.

La seconda osservazione è che se non vogliamo che i tagli, o meglio che le minori risorse, siano attribuite a pioggia, con tutti gli effetti perversi del caso, bisogna distinguere i produttori efficienti da quelli che non lo sono. Qui il fronte delle regioni, compatto nel richiedere più soldi allo stato, generalmente si divide, perché ahimè la realtà è che il sistema sanitario nazionale non è affatto nazionale, ma mette assieme regioni efficienti con altre che non lo sono.

E qui merita salutare una novità positiva nella legge finanziaria di quest'anno. Mentre il sistema precedente intendeva incentivare le regioni tout court, qui si riconosce che per una buona parte la spesa passa attraverso le aziende sanitarie e che quindi è qui che il sistema degli incentivi deve applicarsi. Specificatamente, la proposta di legge prevede che le regioni identifichino le aziende (nel 2016 quelle ospedaliere, nel 2017 quelle di base) in difficoltà economica e organizzativa rispetto a parametri definiti a livello centrale, e che rispetto a queste si definiscano “piani di rientro” aziendali, che in alcuni casi possono anche comportare la chiusura delle aziende inefficienti. Implicitamente, un intervento sostitutivo dello stato è previsto per le regioni che si mostrassero inadempienti.

E' una buona idea perché gli studi mostrano come anche all'interno delle regioni più efficienti vi siano forti eterogeneità nella qualità dell'offerta e il nuovo sistema dovrebbe consentire di incidere direttamente sui produttori di servizi. E' un modo più intelligente di applicare i costi standard al contesto sanitario, anche se poi sarà l'applicazione concreta del principio che ne definirà l'efficacia.

Infine, le regioni hanno ragione su un punto. In tutte queste contrattazioni, il governo fa finta di credere che non esista un vincolo di bilancio; le regioni devono offrire i servizi definiti dai Lea (livelli essenziali di assistenza), indipendentemente dalle risorse a disposizione e se non ci riescono, è solo e soltanto perché esistono gli sprechi. Ora gli sprechi in ambito sanitario indubbiamente esistono, e certamente più in alcune regioni che in altre, ma non si può neanche far finta di credere che l'offerta dei servizi sia indipendente dalle risorse impiegate. La legge di stabilità prevede anche l'introduzione di una Commissione nazionale per l'aggiornamento dei Lea che dovrebbe definire meglio il costo dell'offerta dei servizi. E' buona idea. E' bene che ci abituiamo all'idea che tolte le inefficienze, ciò che possiamo offrire tramite il settore pubblico sul piano sanitario, come in qualunque altro settore, è quello che il paese può permettersi.

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