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Transizione verso la manifattura digitale

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nuove rivoluzioni

Transizione verso la manifattura digitale

La meccanizzazione alla fine del ’700, l’elettrificazione nell’800 e la computerizzazione nella seconda metà del XX secolo: tre rivoluzioni industriali alle quali sta velocemente subentrando un quarto cambiamento di paradigma dominato dalla digitalizzazione dei processi produttivi. Germania e Usa hanno già unito sforzi del governo e dell’industria, la Francia sta accelerando, l’Italia si muove ora con un piano governativo: la strategia sull’Industria 4.0 potrebbe essere presentata già il 21 novembre dal premier Matteo Renzi, in occasione dell’Italian digital day in programma alla Reggia di Venaria.

La transizione dell’Italia alla manifattura digitale, stima il governo, necessiterebbe di 10-15 miliardi di investimenti aggiuntivi all’anno. Come premio l’inversione di indici di produttività che ci vedono in ritardo rispetto ai principali competitor, la creazione di 800mila posti di lavoro in cinque anni, l’aumento del valore aggiunto del manifatturiero di quasi 40 miliardi in dieci anni. Il documento, coordinato dallo Sviluppo economico nell’ambito di un tavolo di Palazzo Chigi dedicato all’Internet of things e alla digitalizzazione, descrive lo stato dell’industria manifatturiera italiana - produzione calata del 25% in 13 anni - e le policy per la sua trasformazione. «Germania e Stati Uniti si sono mossi prima - spiega Stefano Firpo, direttore generale Politica Industriale, competitività e Pmi dello Sviluppo economico - ma l’Italia dovrà seguire un suo modello, partendo da medie e grandi imprese capofila alle quali connettere in modo intelligente piccole aziende e intere filiere».

Il governo pensa a una cabina di regia con alcune decine di medie e grandi industrie, selezionate associazioni di categoria e università. La leva dei fondi pubblici potrà anche essere contenuta (in Germania ci si è attestati a circa 200 milioni) ma occorrerà orientare all’Industria 4.0 tutte le policy, gli incentivi, i bandi e le nuove misure di politica industriale. La trasformazione dovrà partire da uno sfruttamento di quantità sempre più ampie di dati e informazioni e dall’utilizzo delle tecnologie digitali per connettere, innovare e gestire l’intera catena del valore. Massimo utilizzo e relativi investimenti, in altre parole, di una serie di tecnologie abilitanti: big data, cloud computing, banda ultralarga, cybersecurity, robotica avanzata e meccatronica, realtà aumentata, manifattura 3D, Rfid.

«Non è solo un elenco - dice Firpo, che ha lavorato al piano anche sulla base del contributo di Roland Berger -. Significa uno scambio continuo di informazioni tra macchine intelligenti, sistemi energetici e impianti. Vuol dire gestione e monitoraggio in real time del processo produttivo, riduzione degli sprechi e ottimizzazione dell’organizzazione del lavoro». L’impatto concreto sulle filiere? «Tutte le imprese, dalla capofiliera al più piccolo fornitore, saranno interconnesse. Industria 4.0 entra in ogni fase della catena, dalla progettazione alla fornitura, dalla produzione al marketing e al post vendita e le filiere saranno più disciplinate e integrate rispetto ad oggi».

L’uso diffuso della sensoristica e delle informazioni digitali presiederà produzione, logistica, distribuzione per rispondere in tempo reale alle sollecitazioni del mercato, abbattendo il time to market. Ma ridurre questo grande cambiamento a un processo di robotizzazione spinta, chiarisce subito dopo Firpo, sarebbe una semplificazione fuorviante. «C’è sicuramente un tema di aumento della produttività, ma c’è anche altro. Parliamo di nuovi modelli di business che possono nascere». Lo scenario vede un collegamento sempre più stretto tra la mera vendita di un prodotto e l’assistenza, la manutenzione predittiva, il monitoraggio delle performance, dialogando in tempo reale con lo stesso cliente per intercettarne trend e nuova domanda. Ci si spingerebbe fino a un concetto di “on demand manufacturing”, «dove il prodotto può essere perfino noleggiato perché il vero valore aggiunto diventa il servizio e la remunerazione si basa sulle prestazioni». Naturale domandarsi se il sistema industriale italiano, fondato sulle piccole imprese, sia pronto a questo passo. «Dovremo attuare strumenti che spingano i capofiliera a fare da aggregatori. Il made in Italy ha una chance irripetibile: gestione industrializzata anche di produzioni in piccola seria, di nicchia e “artigianali”, ma sempre più customizzate». Il piano mette a fuoco una lista di filiere più immediatamente toccate dalla trasformazione digitale: aerospazio e automotive, cantieristica, nano e micro elettronica, efficienza energetica, elettronica per la difesa, energie alternative, agroalimentare, infrastrutture e trasporti, tlc e banda larga, istruzione e formazione, sanità e scienze della vita, edilizia e costruzioni. Per tutte, in modo trasversale, si pensa a otto aree di intervento, alcune delle quali in fase di attuazione: sostegno agli investimenti in R&S, crescita dimensionale delle imprese e focalizzazione sui capofiliera, startup e imprenditorialità innovativa, valorizzazione degli asset immateriali, definizione di protocolli e standard condivisi a livello Ue, cybersecurity, infrastrutture di rete, sostegno alla formazione e potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro, risorse finanziare dai mercati dei capitali.

Su molti di questi punti il lavoro da fare è tutt’altro che scontato. «Consideriamo la banda ultralarga ad esempio - osserva Firpo - Sarebbe utile convogliare sforzi e investimenti sui distretti e le aree industriali più che su obiettivi di copertura universale». Poi c’è il nodo occupazione, complicato dalle paure della digitalizzazione che mangia posti di lavoro. «Sono timori che non hanno fondamento. L’innovazione crea posti di lavoro. Si tratterà di investire massicciamente in formazione: non basteranno i cosiddetti “digital skills” ma servirà la capacità di gestione di sistemi manifatturieri complessi. In altre parole, su piccola scala, andremo verso un processo di managerializzazione dei lavoratori che saranno chiamati a prendere decisioni e ad interagire in modo molto più complesso con le macchine».

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