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La sostenibilità passa dalla spending

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L’ANALISI

La sostenibilità passa dalla spending

L’impianto su cui poggia la manovra “espansiva” all’esame del Senato reggerà a tre condizioni, che attengono alla piena realizzazione dello schema di coperture all’esame del Parlamento.
Il via libera di Bruxelles alla flessibilità chiesta dal Governo, la sostanziale invarianza dei saldi di finanza pubblica al termine della sessione di bilancio, il potenziamento della spending review. Il tutto nella consapevolezza che dal 2017 non si potrà più far affidamento sullo “sconto” europeo: oltre 16 miliardi se si comprendono anche la “clausola migranti” e i 6,5 miliardi già concessi in maggio grazie alla clausola sulle riforme, che faranno lievitare il deficit del prossimo anno dall’iniziale 1,4% al 2,4% del Pil. Al netto della flessibilità europea, la legge di stabilità affida il finanziamento dei diversi interventi di spesa e di minore entrata alla spending review per 7,3 miliardi nel 2016 e a un mix di entrate una tantum (la voluntary disclosure) e strutturali come il prelievo sui giochi. La manovra è sostenibile nel medio periodo? Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan ha invitato ieri nel corso del suo intervento in Senato a valutare «l’impatto crescente delle misure» contenute nella legge di stabilità.

In effetti, se si guarda agli impegni che fin d’ora vanno cumulandosi nella manovra del 2017 qualche interrogativo è d’obbligo. La spending review in primis, che – ha osservato Padoan – consentirà di risparmiare 8,4 miliardi nel 2017 e 10,3 miliardi nel 2018. E allora se è vero che il processo di spending review «continua e non ci sono singhiozzi» - come ha ribadito il ministro – occorrono due fondamentali precondizioni: la prima è che ogni variazione del puzzle delle coperture della manovra, per effetto delle modifiche in arrivo durante la discussione parlamentare (a partire dal capitolo più contestato, quello del taglio alle Regioni) dovrà trovare adeguata compensazione in contestuali riduzioni di spesa. La seconda è che già con il Documento di economia e finanza del prossimo aprile venga alzata l’asticella della spending, così da rafforzare la sostenibilità dell’intera manovra non solo per quel che riguarda il 2016 ma per l’intero triennio.

Il vero nodo è che la prossima legge di stabilità dovrà non solo disinnescare altri 35 miliardi di clausole di salvaguardia, ma non potrà più farlo aumentando il deficit. Occorrerà ridurre il debito pubblico e garantire al tempo stesso un avanzo primario nei dintorni del 3% nella media del periodo 2015-2019, provando al tempo stesso a finanziare gli altri interventi di riduzione della pressione fiscale in cantiere (Ires e Irpef). Al tempo stesso, non si potrà più procrastinare ulteriormente l’appuntamento con il pareggio di bilancio in termini strutturali, ora rinviato al 2018. Scommessa non da poco, che richiederà appunto una spending review incisiva e coraggiosa. Non sarà più possibile allora evitare di metter mano anche al capitolo delle “tax expenditures”, congelato per scelta politica assunta dal Governo. Occorrerà una fortissima coesione e determinazione da parte del Governo e della maggioranza che lo sostiene in Parlamento. In caso contrario, il problema non sarà Bruxelles che pure non mancherà di obiettare al nostro Paese la deviazione dal percorso pattuito (la procedura d’infrazione per squilibri macroeconomici eccessivi è sempre dietro l’angolo), ma il giudizio dei mercati.

Ridurre il debito non è un optional. È la strada obbligata per blindare i conti pubblici e recuperare a pieno la fiducia di chi compra i nostri titoli. Lo ha sottolineato due giorni fa il vice direttore della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini: l’impegno assunto dal Governo ad avviare dal 2016 il percorso di rientro dal debito «non va mancato.
È un impegno chiave, di cui terranno conto osservatori, mercati, autorità e partner europei». Lo rimarca anche l’Ufficio parlamentare di bilancio (attenzione ai rischi di un’inflazione «più coerente con le aspettative di mercato» e a tassi di interesse «che potrebbero salire in modo repentino a seguito di possibili tensioni internazionali») al pari della Corte dei Conti (il rischio è il rallentamento dei paesi emergenti, la deflazione e l’interruzione della ripresa in atto).
Tra breve sarà la Commissione europea a rinnovare l’invito al Governo al pieno rispetto della «regola del debito». L’enfasi è giustificata. Un paese in lenta ripresa, con diversi elementi di vulnerabilità non ancora scalfiti, tra cui l’alta evasione, la scarsa produttività dell’apparato pubblico e la necessità di collocare sul mercato oltre 400 miliardi di titoli l’anno impegnando tra i 70 e gli 80 miliardi di interessi per sostenere un debito pubblico che quest’anno viaggia al 132,8% del Pil, non ha altra scelta. La fiducia è un bene prezioso. Non si può correre il rischio di perderla nuovamente.

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