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Le buone idee battono gli stereotipi

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ALLA LUISS

Le buone idee battono gli stereotipi

Il suo volume «Making the european monetary union» con l’introduzione del presidente della Bce, Mario Draghi, dà conto minuziosamente dell'intensa attività delle banche centrali che ha preceduto la nascita della moneta unica. E, come Draghi, anche Harold James, storico dell’economia e professore della Princeton University americana (la cui firma appare anche sul Sole 24 Ore), usa un approccio pragmatico, non ancorato a visioni preconcette, per esaminare i fatti economici.

Così ieri, nel corso della quindicesima lezione Angelo Costa tenutasi presso la Luiss Guido Carli di Roma, James si è preoccupato di dimostrare che, se è vero che le differenti visioni filosofiche contano in Europa (e il loro conflitto può provocare grossi guai) non si tratta però di idee eterne ed immutabili, perchè esse variano nel tempo. E che, soprattutto, nel processo di costruzione dell’Europa è possibile trovare delle soluzioni innovative, che permettano di superare pregiudizi e stereotipi culturali frenanti.

Lo studioso ha esordito ricordando che poco dopo la metà del diciannovesimo l’economista Walter Bagehot già offriva una visione ben carica di pre- giudizi, quando dopo aver esaminato l’ipotesi un sistema monetario globale concludeva: «In tal caso vi sarebbe una moneta teutonica e una moneta latina: quest’ultima, più confinata all’Europa occidentale, mentre la prima avrebbe una circolazione in tutto il mondo.

Questo stato monetario comporterebbe un immenso miglioramento rispetto al presente (...) e, considerando il relativo torpore dei popoli latini, non c’è dubbio che la moneta teutonica sarebbe quella più frequentemente preferita». Sembra antica, insomma, quella sorta di linea divisoria lungo il corso del Reno, che attribuisce alla visione tedesca del mondo l’attenzione alle regole, al non far debiti, alla solvibilità e ai rischi di azzardo morale, nonchè alle riforme basate su dosi massicce d’austerity. Un muro di demarcazione che invece consegna solo a un pensiero latino, incarnato dalla Francia, la scelta a favore della discrezionalità in politica economica, l’opzione solidale, la cura affinchè gli intermediari si mantengano liquidi, lo stimolo monetario e il sostegno keynesiano alla domanda.

Lo scontro tra queste due diverse visioni del mondo, prima ancora che diverse culture di politica economica, si è visto in atto in alcuni momenti salienti della crisi dell’euro in particolare in quella culminata dell’ estate del 2012 durante la quale il fatico «Whatever it takes» di Mario Draghi arrivò come una sorta di provvidenziale colpo di frusta da domatore di leoni.

«Dobbiamo sempre dubitare del fatto che le attitudini culturali siano immutabili» ha sottolineato però lo storico. James ha anche smantellato altri due luoghi comuni, peraltro confliggenti fra loro: quello di chi sostiene che l’Unione monetaria europea sia il frutto di una scelta meramente politica e quello per cui la moneta unica è stato solo un mezzo per un arricchimento permanente della Germania, attraverso surplus di parte corrente permanenti e vantaggi competitivi perenni derivanti da un sistema di cambi fissi. Il movente storico e il significato ultimo dell’Unione monetaria era ed è, ha ricordato, la crescita economica nella stabilità.

E sull’assoluta necessità di riguadagnare quest’obiettivo si sono ritrovati ieri tutti gli “ascoltatori” della lezione di James, dal presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi alla presidente della Luiss, Emma Marcegaglia.

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