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Da Bagheria un richiamo per i media

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IMPRESE & LEGALITÀ

Da Bagheria un richiamo per i media

Una settimana fa 36 imprenditori e commercianti di Bagheria sono diventati testimoni d’accusa contro i 22 estorsori arrestati dai carabinieri di Palermo. I giornali hanno sottolineato l’importanza della “rivolta” contro il pizzo, in un territorio infestato dai mafiosi, a lungo nascondiglio di Bernardo Provenzano. I 36 imprenditori hanno manifestato sollievo per la fine del giogo economico e dello stressante senso di insicurezza, protrattisi per anni. Uno di loro ha raccontato di essere subentrato in azienda al padre che già pagava il pizzo in lire, dunque con una lunga storia di sottomissione alle spalle. Uno spunto di grande interesse su cui riflettere, specie per chi fa informazione.

Accade molto di frequente, nelle regioni più a rischio, ereditare situazioni d’impresa non accettabili, perché mentalità e cultura sono cambiate, perché la crisi ha ridotto i margini non scrivibili a bilancio, perché dire “no” è diventata un’opzione esplicita, praticabile, conveniente. Accade anche, però, che i trascorsi famigliari e/o dell’impresa diventino motivo per sminuire o irridere la scelta di campo favorita dalle istituzioni e sostenuta da associazioni come Fai o Addiopizzo. Gli ambienti (anche quelli d’impresa) non ancora pronti a cambiare direzione, insinuano e gettano fango – «Bel campione di legalità! Ma suo padre… suo nonno…» – con la modalità tipica dei contesti omertosi, che temono ogni incrinatura. Chi intesse con lo Stato un rapporto nuovo anche rispetto alla propria storia viene avvertito che queste critiche circoleranno a mezza bocca e aiutato a sopportarne il peso. La situazione deflagra quando i mormorii malevoli e locali diventano oggetto di un fascicolo di Procura che in qualche modo filtra sui media e pilastro di campagne giornalistiche. Utili e legittime – ci mancherebbe – quando riferite rigorosamente ai fatti; oggettivamente dannose quando, sulla base di preconcetti ostili, non esitano a fare un tutt’uno tra vicende come quelle di Silvana Saguto o Roberto Helg e altre, tutte da decrittare, come il caso che vede al centro Antonello Montante.

Vale qui ricordare, per esempio, gli attacchi a Carolina Girasole, ex sindaco di Isola di Capo Rizzuto (Crotone) e punta dell’antimafia calabrese, assolta con il marito dopo un processo per voto di scambio politico-mafioso. L’inchiesta su Girasole è stato uno shock paralizzante per la Calabria, proprio come è accaduto alla Sicilia da febbraio in avanti.

I fatti dicono, invece, che la retata di Bagheria è frutto dei semi gettati anni fa anche da Confindustria Sicilia, tanto che oggi i carabinieri dicono che «nessuno di questi imprenditori si è mai sentito un Libero Grassi, perché c’è la consapevolezza di non essere lasciati soli e alla mercé delle cosche» e il presidente di Confindustria Palermo, Alessandro Albanese, può essere lapidario: «Oggi chi paga o è uno stupido o è un colluso. In entrambi i casi non può fare impresa. Lo Stato c’è, non ci si può più appellare alla paura. Chi paga vuole un beneficio, cerca una scorciatoia anziché stare nel libero mercato».

Ancora in tema di responsabilità dei media, altro errore da non ripetere è quello di trasformare l’esperienza di Bagheria e i suoi protagonisti in spettacolo da contendersi tra i talk show per aumentare ascolti e lettori. La luce dei riflettori fa male a queste piantine civiche dalle radici ancora fragili, che tentano di attecchire su terreni desertificati da anni di veleni. Lo sanno molto bene i cittadini siciliani, i calabresi, i campani, in cuor loro stanchi delle mafie, ma altrettanto diffidenti dell’antimafia che produce un convegno al giorno e raffiche di commemorazioni, festival, rassegne e fiere, esibendo le fruste tipologie di imprenditori “eroi”, magistrati “con la schiena dritta”, ispirati “profeti” della legalità, che animano platee plaudenti.

L’unica pubblicità utile a una pratica quotidiana di legalità è quella delle condanne dei mafiosi. Il resto vale se è silenzio, lavoro quotidiano, controllo severo su quanti si uniscono alle file dell’”anti”, che – per fortuna – continuano comunque a ingrossarsi.

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