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L’inutile rischio di uno strappo con l’Europa

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l’aut aut di londra

L’inutile rischio di uno strappo con l’Europa

Sarà anche - come ha detto il premier David Cameron ieri - una «missione assolutamente...possibile», ma resta soprattutto una mossa sommamente inutile e straordinariamente pericolosa che costringe l’Europa tutta a misurarsi con il rischio di una nuova crisi dalle conseguenze imprevedibili.

La formalizzazione delle richieste di Londra ai partner, consumata ieri con l’invio della lettera al presidente Ue Donald Tusk, apre la fase finale del negoziato anglo-europeo che dovrà concludersi con il referendum sull’adesione. Dentro o fuori, ovvero membership britannica ancor più diluita di quanto sia oggi, oppure Brexit, lo strappo finale dall’Unione che per la prima volta perderebbe un partner. E che partner, visti i numeri di Sua Maestà.

Il rischio non traspare solo nell’inchiostro dei sondaggi che continuano a disegnare un Paese spaccato come una mela, ma anche in quello utilizzato dal primo ministro di Elisabetta II nel redigere la lettera a Tusk. Nulla da eccepire, certo, laddove Cameron invoca maggiore capacità competitiva per le imprese di un’Unione un poco sclerotica, ma per il resto è un elenco di trappole sul cammino di quell’ “Unione europea sempre più stretta” che non, a caso, è il bersaglio ideale della Gran Bretagna. L’autoesclusione da un’aspirazione comune, elemento fondante dell’edificio a Ventotto, è, infatti, oggetto esplicito di una delle richieste di opt-out di Londra. Uno sfregio al sogno europeo per come abbiamo imparato a conoscerlo e condividerlo.

Se dal preambolo di ordine ideologico si scende alla sostanza delle altre richieste si scorgono muri più che ostacoli. Chiedere che «gruppi di parlamenti nazionali» abbiano nuovi strumenti per allearsi con l’obiettivo di frenare la legislazione comune - seppure nel contesto delle tutele ai Paesi non euro - rischia di risolversi in una forma indiretta di veto capace di sovvertire gli assetti istituzionali. Discriminare sull’accesso al welfare per i cittadini dell’Unione europea - seppure limitatamente a un periodo di quattro anni - è figlio apparente di un’esigenza di bilancio, ma è mossa gravida di ben altre conseguenze.

Una mossa capace di innescare un movimento centrifugo dalle regole del mercato interno e da quelle, non scritte, della solidarietà in Europa. Altre vie e altre modalità si potevano ricercare per attutire l'impatto della forte immigrazione intracomunitaria di cui Londra paga il prezzo, ma da cui trae anche enormi vantaggi. Le università sono piene di studenti stranieri, le imprese edili di idraulici polacchi che – con giustificato terrore – molti temono possano fare i bagagli alla volta di Varsavia. Le capitali dell'est – i manovali sono anche bulgari e rumeni - non vorranno permetterlo e non lo permetteranno, almeno non a costo zero.

E' possibile – affidandosi a una riconosciuta corrente di pensiero – che nei toni e nella lettera di David Cameron ci siano i segni di una grande attore. Che, cioè, Londra spari ad alzo zero, sollevi polveri e liberi nebbie per mettere in scena la Madre di tutti i Negoziati, secondo l'intramontabile copione di “uno contro tutti”. E che lo faccia con l'obiettivo di misurarsi con le ansie nazionali, consapevole di poter aspirare, tutt'al più, a qualche ritocco di facciata. Maquillage, non plastica per intenderci.

E' possibile, quindi, che il copione della sceneggiata anglo-europea preveda poi le “dure reazioni” delle capitali continentali in un gioco delle parti fra consumati duellanti destinato poi a concludersi con l'accordo. E' possibile, in altre parole, che si stia varcando la soglia della pochade, in equilibrio fra le incompatibili esigenze di politics e policies. Ce lo auguriamo, ci auguriamo davvero che i sussurri di intese già delineate su gran parte dei punti caldeggiati da David Cameron siano realistici e non fantasie, ma neppure questo basta per abbassare di un solo grado la febbre alta che Londra ha imposto all'Europa.

La scelta referendaria su passaggi istituzionali complessi, pianatati come sono sulle alchimie della diplomazia comunitaria, espone l'elettore al vento della demagogia che spazza queste isole tanto quanto il continente. Un allarme in più sull'immigrazione, un titolo più greve sui giornali, un altolà in più sulla City, il giorno del referendum potrebbero cambiare il risultato della consultazione. E con esso il destino di un'Europa che ancora stenta a riprendersi dalla lunga notte della crisi.

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