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Non confondere chi prega con chi spara

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Scenari

Non confondere chi prega con chi spara

L’elaborazione di una ferma capacità di risposta nei confronti della dottrina integralista e di chi predica l'odio utilizzando la fede come scudo per legittimare le proprie efferatezze non può prescindere dal rafforzamento del dialogo e del confronto con quella parte del mondo musulmano – largamente maggioritaria – che alla spietata legge della violenza contrappone il rispetto delle regole della convivenza tra culture e religioni.

Ne sono convintissimo. Per questo ho più volte interagito con i rappresentanti delle principali comunità e associazioni islamiche presenti in Italia, con i quali è stato attivato un tavolo di consultazione per approfondire i diversi aspetti legati alle problematiche della radicalizzazione, alla garanzia della sicurezza dei cittadini, alla tutela delle libertà civili, sociali e religiose nel rispetto della Costituzione e delle leggi italiane.

Li ho incontrati al ministero dell'Interno il 23 febbraio 2015. Li guardavo in volto e cercavo nei loro occhi, prima e più che nelle loro dichiarazioni, il consenso alle mie parole: voi pregate in uno Stato democratico che riconosce già nel suo ordinamento costituzionale il vostro diritto, ma a voi chiediamo di eliminare ogni zona grigia, ogni margine di dubbio, di schierarvi dalla parte delle nostre Istituzioni, soprattutto dalla parte di quelle divise che rischiano la vita per proteggere gli italiani – e non solo gli italiani – dalla follia di chi dice di credere nel vostro stesso Dio e di uccidere in suo nome.

Mi risposero che no, il loro Dio è un Dio di pace, di amore e di concordia. La loro religione è espressione di quel Dio.

Mi sembrarono sinceri, ed era mio dovere fidarmi. Ma era, e resta mio dovere, chiedere ai nostri uomini di monitorare e vigilare sui luoghi di culto, dove la radicalizzazione è sempre possibile. Perché non si può dire che le moschee italiane abbiano ogni volta applicato criteri di trasparenza, per esempio sui contenuti dei sermoni e sulla lingua in cui vengono pronunciati. È bene ricordare che anche nel nostro Paese esistono luoghi di culto riconosciuti, come la moschea di Roma, guidata dal segretario generale Abdellah Redouane, e altri meno strutturati a cui sarebbe più appropriato dare il nome di centri islamici. Sottili differenze per qualcuno, ma non per il milione e mezzo di fedeli musulmani che vivono in Italia.

Il nostro obiettivo è quello di non confondere chi prega con chi spara, vogliamo separare chi si nutre di rigetto dei nostri valori da chi promuove integrazione e rispetto. Chi prega deve essere tutelato, a chi spara non va concessa tregua. Chi prega ha il diritto di esercitare il suo credo, di dire che sta dalla parte della legge italiana, di vivere nelle nostre città, dove coesistono chiese e moschee, sinagoghe e palazzi delle Istituzioni.

Ma chi prega deve assumersi delle responsabilità. È nel suo interesse togliere fiato agli «impostori della fede», è suo compito – se prega – respingere con forza e determinazione ogni sfumatura legata all'estremismo, è suo dovere ricercare la nostra collaborazione per costruire, insieme, solidi argini contro le infiltrazioni, denunciando i fattori di rischio e le dinamiche che potrebbero ostacolare le ragioni della convivenza, della tolleranza, del diritto, ossia quei princìpi che garantiscono un'armonica inclusione nel nostro tessuto sociale. E che rendono più ricca la nostra democrazia.

Impegni riferibili non soltanto ai musulmani di casa nostra. Non si può essere tiepidi. Serve una reazione netta della «maggioranza silenziosa» islamica per vincere «questa battaglia della nostra generazione», ha spiegato il premier inglese David Cameron in un discorso tenuto a Birmingham il 20 luglio 2015, nel corso del quale ha posto l'accento sulla necessità di difendere le giovani speranze per il futuro – i nostri figli, occidentali e musulmani – dalla fascinazione velenosa del fondamentalismo e da chi professa una visione distorta del mondo.

Quanto a noi, non dobbiamo regalare facili alleati a chi vuole seminare odio e violenza, non possiamo cedere alla tentazione di vivere la «diversità» come una minaccia, associandola a una generica volontà di nuocere alla nostra sicurezza. Solo lavorando insieme a chi prega sarà più facile debellare il germe dell'intolleranza e disarmare chi spara.

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