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STUDIO ROLAND BERGER

Contenuti culturali, per i produttori un «value gap» da 369 milioni

C’è almeno un 27% di ricavi che i contenuti culturali generano, ma per i quali non c’è un ritorno in termini economici per i produttori. Un 27% di ricavi sul business di social, motori di ricerca, piattaforme pubbliche (come You Tube o Dailymotion,), servizi cloud, che vale 369 milioni di euro.

Eccolo quello che si potrebbe definire il value gap dei contenuti culturali – parliamo di cinema, musica, radio tv, fotografia, stampa, libri, videogiochi, esibizioni live – nell’era del digitale. E lo studio della società Roland Berger commissionato da Siae è un tentativo molto ambizioso di fotografare quella mancanza nella catena del valore che pesa, eccome. Il tutto con l’obiettivo di stimare le quote di ricavo generate negli “intermediari tecnici”: quelle aziende che forniscono servizi legati ai contenuti (motori di ricerca, social network, piattaforme audio e video come YouTube e Soundcloud, siti che permettono l’upload e la condivisione di contenuti). Si parla di impatto diretto (accesso ai contenuti, condivisioni social, e-commerce), ma anche “indiretto” (in termini di fidelizzazione degli utenti e raccolta dati). Lo studio sarà presentato oggi a Trani in occasione di “Direzione Hackathon 2016”, la puntata zero di un appuntamento, voluto dal presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, insieme a Confindusatria Bari-Bat, che si preannuncia come il festival globale dell’economia al tempo del digitale, in Puglia. Quella di oggi sarà dunque la prima puntata di una “maratona” che, a partire dal 2016, metterà insieme per 4 giorni oltre 200 startuppers.

«Quello che abbiamo chiesto a Roland Berger – spiega al Sole 24 Ore il presidente Siae, Filippo Sugar – è un primo tentativo in assoluto di calcolare, numeri alla mano, il cosiddetto value gap, cioè il beneficio economico che arriva dai contenuti culturali non riconosciuto ai produttori degli stessi contenuti. Può darsi che sia un numero parziale, incompleto, ma è un primo sforzo sul quale come Siae ci siamo impegnati, nella consapevolezza dell’importanza dell’argomento anche a livello di Commissione europea, dove si sta lavorando al Mercato unico del digitale».

La ricerca di Roland Berger è basata su dati pubblici e su due studi del 2015 su Google e Facebook. Si parte da un’analisi di ciò che succede con i “distributori autorizzati”, come Netflix e Spotify, leader rispettivamente nell’audiovisivo e nella musica. Entrambe spendono il 70% dei ricavi per i contenuti (Spotify pagando royalties, Netflix acquistando licenze), con una differenza nei ricavi netti annuali per utente: su Netflix ogni abbonato “vale” 62 euro all’anno, su Spotify 17 per via del grande numero di utenti free che usano il servizio. Dopo il pagamento dei contenuti, il ricavo per utente medio scende a 16 euro all’anno per Netflix e a 5 per Spotify.

Per quanto riguarda invece gli “intermediari tecnici”, In Europa i ricavi sono di 22 miliardi l’anno (di cui 16 miliardi per Google e 3 per Facebook) con un impatto diretto dei contenuti culturali sui ricavi pari a 5 miliardi (il 23% del totale). In Italia questo è un mercato da quasi 1,4 miliardi; questo senza considerare i servizi illegali di file sharing. I contenuti culturali contribuiscono per il 27% (369 milioni di euro l’anno appunto), impattando in particolar modo sui motori di ricerca (150 milioni di euro), sui social network (167 milioni) e sulle piattaforme video (46 milioni). E di questi 369 milioni quasi nulla arriva ai produttori di questi contenuti.

«Non ci si pensa quasi mai – aggiunge Sugar – ma l’industria dei contenuti è il terzo settore in Europa per creazione di posti di lavoro, dopo costruzioni e food and beverage. È un’industria che produce identità culturale in Europa. E la rinascita di un’industria culturale europea non può che passare a questo punto attraverso accordi con i colossi del digitale. È qui che va inserito il giusto interesse da parte della Commissione europea per il tema del value gap». Per il presidente Siae i numeri dello studio comunque non fanno che testimoniare un’esigenza che è un’urgenza: «Riuscire a garantire il giusto compenso rappresenta un ossigeno necessario per editori, discografici, produttori cinematografici o televisivi. Queste risorse sono nell’interesse di tutti. Anche dei motori di ricerca o dei social. Perché sono risorse che permetteranno di migliorare i contenuti. E questa è una partita in cui tutti vincono».

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