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Banche italiane, giri di valzer europei sull'aiuto di Stato

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L'ANALISI

Banche italiane, giri di valzer europei sull'aiuto di Stato

Conferme ufficiali non le darà mai nessuno, ma non è certamente un segreto che la rinuncia delle banche italiane agli aiuti di Stato non abbia suscitato grande entusiasmo tra i politici e i burocrati di Bruxelles e Francoforte. Anzi, sarebbe vero il contrario. Più che ammirazione, lo scatto d'orgoglio del nostro sistema bancario - l'unico in Europa a non aver ricapitalizzato a spese dei contribuenti - avrebbe suscitato scetticismo, irritazione e sospetti. E conseguenze che ancora pesano. Continua pagina  2

Alla Bce e in Commissione, tra il 2008 e il 2013, c'è chi dava per scontata sia una richiesta di aiuti europei da parte del Governo italiano che una richiesta di aiuti di Stato da parte delle nostre banche. Nel resto d'Europa, del resto, era questa la prassi utilizzata dai governi per puntellare grandi e piccole banche: soldi pubblici per aumenti di capitale con la benedizione della Ue.
A partire dal 2008, infatti, la crisi finanziaria ha generato un'espansione senza precedenti degli aiuti di Stato a favore delle banche. Tra il 1° ottobre 2008 e il 1° ottobre 2014, per essere più precisi, la Commissione ha adottato oltre 450 decisioni di autorizzazione di aiuti pubblici nazionali a favore delle banche.

Soltanto per quel che riguarda le garanzie, l'ammontare degli aiuti autorizzato è stato pari a oltre 3.800 miliardi di euro (29,8% del Pil dell'Europa nel 2013). Anche se la somma effettivamente utilizzata dalle banche è stata pari a circa un quarto di tale importo, si tratta di numeri impressionanti. E a tali cifre, si devono aggiungere misure di ricapitalizzazione pari a oltre 821 miliardi, il 6,3% del Pil 2013. Germania, Francia, Inghilterra, Portogallo, Irlanda e Spagna sono i Paesi che hanno beneficiato maggiormente dell'apertura europea agli aiuti di Stato. E appena 10 giorni fa, la Ue ha dato il via libera all'ennesimo salvataggio nazionale di una banca tedesca, un mercato (come quello francese) in cui pubblico e privato si intrecciano nelle banche e nelle industrie, senza moniti o sanzioni da parte della Commissione.

Forse anche per questo, gli ostacoli posti dalla Commissione ai recenti tentativi di salvataggio di alcune banche italiane in stato di crisi hanno suscitato sorpresa e soprattutto interrogativi: come il dubbio che la Commissione vieti all'Italia interventi e procedure che consente ad altri Paesi. Questa sensazione è emersa già un anno fa, quando Bce ed Eba effettuarono gli stress test sulle banche europee. L'Italia, già criticata in Europa per il mancato ricorso agli aiuti di Stato o della Ue, emerse dai test con 9 banche bocciate, una debacle che ci collocava in una situazione peggiore della Grecia (3 banche bocciate), di Cipro (3), della Slovenia (2) e del Belgio. Germania, Inghilterra, Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Austria ebbero un solo istituto bocciato ai test: gli aiuti di Stato avevano fatto la differenza.

Per le banche italiane, non aver chiesto soldi allo Stato è stato motivo di grande soddisfazione. Ma con l'orgoglio non si comprano le azioni: la rinuncia agli aiuti di Stato è costata finora ai loro soci oltre 60 miliardi di euro in aumenti di capitale, una cifra senza precedenti che ha quasi svuotato le casse delle fondazioni azioniste. Per i banchieri, chiedere oggi altro aiuto agli azionisti sarebbe estremamente difficile. Eppure, è proprio in questo contesto critico che le maggiori banche italiane hanno deciso di affrontare con una risposta di «sistema» non solo la crisi di Banca Tercas, salvata grazie a un aumento di capitale deliberato dal Fondo di tutela dei depositi e finanziato con risorse versate volontariamente dagli istituti, ma anche quella delle 4 Popolari di cui è ora necessario il salvataggio: una crisi di fiducia dei risparmiatori per il collasso di cinque banche è del resto l'incubo peggiore dei banchieri.

Ma ancora una volta, invece di apprezzare lo sforzo del sistema di non attingere ai fondi dello Stato, l'Europa ha scelto di censurarlo. Il salvataggio di Tercas attraverso il Fondo di tutela dei depositi, nel cui consiglio siede un rappresentante della Banca d'Italia, è stato giudicato dalla Commissione come aiuto di Stato: malgrado il fatto che non un solo euro di denaro pubblico sia stato utilizzato nel salvataggio, la Commissione ha giudicato la presenza di Bankitalia nel cda del fondo come elemento sufficiente per avviare la procedura di infrazione. Risultato: anche nel caso in cui l'Italia dovesse essere condannata per aver aiutato Tercas, i fondi recuperati andrebbero alle banche e non allo Stato. Un vero paradosso e un assurdo giuridico, visto che il ritorno dei fondi allo Stato è un presupposto-chiave delle regole europee.

Comunque sia, lo stop della Commissione agli aiuti volontari ha costretto il sistema bancario da una parte e il Governo dall'altra a seguire per il salvataggio delle altre 4 banche in crisi il percorso fissato dall'Europa e recentemente recepito dal Governo con decreto . In pratica, obbligazionisti e correntisti corrono ora il rischio di pagare di tasca propria parte del salvataggio. Vedremo come finirà. Ma una cosa è certa. La percezione di un doppio binario dell'Europa nella valutazione degli interventi pubblici comincia a radicarsi anche tra gli europeisti più convinti: ciò che è permesso alla Francia o alla Germania in tema di Stato e di imprese, non sembra invece consentito all'Italia. Come dire: la legge è uguale per tutti, il giudice no.

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