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Missione anti-trafficanti con pochi risultati

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flotta aero-navale limitata

Missione anti-trafficanti con pochi risultati

Il bilancio di poco più di un mese di attività operativa della missione navale europea Eunavfor Med non è esaltante. L’Operazione Sophia, così ribattezzata dal nome della bambina somala nata a bordo di una nave tedesca della flotta Ue dopo che la mamma era stata recuperata da un barcone, può contare su una vera forza da combattimento limitata però nei mezzi di contrasto ai trafficanti di esseri umani libici.

La flotta è composta da 7 navi da guerra (solo una italiana, la portaerei Cavour che funge da ammiraglia) dopo il ritiro delle fregate Richmond britannica e Courbet francese, nonché di una dozzina di aerei ed elicotteri. Dopo essersi limitata per tre mesi a raccogliere informazioni d’intelligence, l’operazione è passata il 7 ottobre alla Fase 2 che prevede la caccia a scafisti e trafficanti ma solo in acque internazionali. In queste condizioni le navi messe in campo da Italia, Spagna, Slovenia, Gran Bretagna, Francia, Belgio e Germania si limitano a soccorrere gli immigrati illegali sbarcandoli in Sicilia dopo aver affondato le imbarcazioni su cui viaggiavano e catturato gli scafisti. Infatti in poco più di un mese sono stati raccolti 5.400 migranti, affondate 43 imbarcazioni e catturati altrettanti scafisti.

L’operazione europea guidata dal quartier generale di Roma-Centocelle dall’ammiraglio Enrico Credendino e sul mare dal contrammiraglio Andrea Gueglio opera in base al principio ‘no boat left behind’ che prevede che nessuna imbarcazione utilizzata dai trafficanti venga abbandonata in mare con il rischio che pescherecci o altri natanti utilizzati dalle organizzazioni malavitose le recuperino per riutilizzarle.

«Quando è possibile, le imbarcazioni sottratte ai trafficanti vengono rimorchiate perché sono elemento di prova per l’autorità giudiziaria – ha spiegato il portavoce della missione, il capitano di vascello Antonello de Renzis Sonnino, ma nella stragrande maggioranza dei casi le loro condizioni sono così precarie da imporne l’affondamento, in primis per evitare che costituiscano un pericolo per la navigazione». Negli ultimi tempi sono usati sempre meno i barconi di legno «molto più redditizi per i trafficanti visto che ogni viaggio frutta in media 200mila euro», aggiunge Sonnino. Per non farseli affondare i trafficanti preferiscono usare i più economici gommoni di costruzione cinese, meno affidabili e con minore capienza ma “spendibili” e comunque funzionali tenuto conto che le navi italiane ed europee si solito raggiungono le imbarcazioni messe in mare dai trafficanti poche miglia fuori dalle acque libiche. Di fronte alle coste della Tripolitania operano oggi tre differenti missioni navali, oltre a Eunavfor Med c’è l’altra operazione europea, Triton, gestita dall’agenzia Frontex e l’italiana Mare Sicuro. Benché sulla carta abbiano compiti diversi, attuano tutte le stesse procedure con il traffico illegale di esseri umani: raccolgono gli immigrati, affondano i natanti e arrestano gli scafisti. Le stesse cose che già faceva l’anno scorso la missione italiana Mare Nostrum ma anche allora gli arresti di scafisti avevano un impatto limitato sulle bande di trafficanti: negli ultimi due anni ne sono stati fermati oltre un migliaio ma in pochi sono rimasti in carcere più di qualche giorno.

I modesti risultati conseguiti dalla flotta europea non scoraggiano di certo i trafficanti che continuano a incassare milioni e a trovare sempre nuovi clienti a cui garantire lo sbarco in Europa. Per lo più si tratta di persone provenienti dall’Africa sub-sahariana anche se il flusso migratorio nel Mediterraneo si è spostato negli ultimi mesi verso i Balcani dove transita l’80 per cento di coloro che cercano di raggiungere l'Europa.

Risultati più incisivi Eunavfor Med li otterrebbe attaccando barconi e trafficanti nelle acque e sulla costa libica, ipotesi respinta con minacce dalle fazioni di Tobruk e Bengasi mentre per dare il via a operazioni più bellicose Bruxelles ha scelto di attendere l’assenso di un ipotetico governo di unità nazionale libico la cui istituzione, con la mediazione dell’Onu, pare oggi più che mai lontana.

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