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Per i mercati un caccia russo abbattuto conta più dei morti di Parigi

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terrorismo e finanza

Per i mercati un caccia russo abbattuto conta più dei morti di Parigi

Per i cinici mercati finanziari, ormai mossi più da computer che da esseri umani, un caccia militare russo abbattuto conta più dei morti nelle strade e nei teatri di Parigi. È brutto dirlo, ma è così. Se agli attacchi terroristici del 13 novembre i listini avevano infatti reagito con distacco, chiudendo la settimana più cruenta per l’Europa con Borse addirittura in rialzo, l’abbattimento ieri dell’aereo russo da parte della Turchia ha creato ben più turbolenza sui mercati. Non si può certo parlare di panico, ma ieri sera si vedevano tutte le più classiche reazioni dei momenti di grave incertezza: Borse in calo (con il settore trasporti in caduta del 2,25% in Europa), petrolio in rialzo (+2,9% il Brent), volatilità in aumento (+0,7% con punte del 4%), oro in ripresa (+0,7%) e Borse di Russia e Turchia in picchiata (-3,11% e -4,39%).

Premesso che oggi il mini-panico potrebbe finire, viene da chiedersi perché ieri l’abbattimento dell’aereo russo abbia pesato sui mercati finanziari molto più di quanto non abbiano fatto le immagini ben più cruente di Parigi. Le risposte possono essere due. La prima è di carattere geopolitico: quanto accaduto ieri tra Russia e Turchia è qualcosa di qualitativamente diverso, per le relazioni internazionali, rispetto a quanto accaduto una settimana fa a Parigi. Quello è stato un attentato efferato, che ha però avuto l’effetto di ricompattare il mondo occidentale e di riavvicinare la Russia a Europa e Stati Uniti. Questo, invece, è un atto ostile tra un Paese Nato (la Turchia) e quella stessa Russia che si stava riavvicinando.

Dopo gli attentati di Parigi la condanna era stata unanime, mentre questa volta le voci del coro sono discordanti: la Russia parla di «pugnalata alla schiena», mentre il presidente Usa Barack Obama prende le parti della Turchia e del suo diritto di «difendere il territorio». Quella che sembrava una coalizione in formazione, dunque, pare ora spezzarsi. La sensazione è che ognuno sia tornato a combattere in Siria una guerra diversa. Turchia e Russia, entrambe fondamentali per l’approvvigionamento energetico dell’Europa e per la guerra al terrorismo, diventano improvvisamente ostili. Due sponde opposte. Ebbene: questo disordine internazionale, su mercati che masticano di economia ma non capiscono molto di geopolitica, crea incertezza. E l’incertezza produce volatilità.

Parlando con gli operatori di mercato, con i gestori di fondi o con gli economisti (quelli che solitamente hanno una risposta pronta per ogni domanda di carattere finanziario o economico) la sensazione ieri era che nessuno avesse veramente idea di quali implicazioni la vicenda turco-russa potesse avere. E proprio questo, in Borsa, è un buon motivo per vendere: la mancanza di visibilità sul futuro alza infatti il livello di cautela. C’è poi un’altra ragione, molto più banale ma sempre importante in Borsa: dopo i rialzi degli ultimi tempi, l’incidente tra Mosca e Ankara è stato probabilmente il pretesto per prendere profitto. Cioè per vendere un po’ di azioni che guadagnavano.

Diverso è invece il discorso da fare guardando avanti, al medio periodo. Se fino ad oggi i mercati non hanno reagito negativamente agli attentati di Parigi, al maxi-blitz di Bruxelles e a tutti gli allarmi terrorismo, prima o poi potrebbero infatti fare i conti con gli effetti economici che tutto questo potrebbe produrre. Fino ad ora gli addetti ai lavori hanno ritenuto che l’impatto sull’economia reale sarà limitato («durerà giusto il tempo del clamore mediatico» diceva un economista qualche giorno fa), ma prima o poi potrebbero rendersi conto che se il terrore dovesse durare più a lungo, un effetto sul Pil potrebbe esserci davvero. Fino ad ora ha prevalso, nei mercati, la convinzione che il rischio di rallentamento congiunturale sarebbe stato più che compensato dal «bazooka» della Bce. Ma prima o poi potrebbero rendersi conto che in un mondo che rallenta, il terrore potrebbe frenare il Pil europeo più di quanto Mario Draghi possa rinvigorirlo con il suo pur potente quantitative easing.

Il terrorismo frena infatti in primo luogo il turismo, che in Italia produce circa il 10% del Pil e in Francia il 7,4%. Il minor turismo non significa solo minore giro d’affari per alberghi, ristoranti e compagnie aeree. Significa anche minori consumi, soprattutto di beni di lusso: si pensi che i cosiddetti «travel retail», cioè i turisti che acquistano beni di alta gamma, producono circa il 50-60% del fatturato totale del settore. In Italia, stima Mediobanca, si parla di circa 6 miliardi di euro, mentre in Europa si arriva a 40 miliardi.

A frenare è poi anche il turismo verso alcune ex-mete tradizionali dei viaggiatori, come l’Egitto. Questo potrebbe avere un impatto su quelle economie e, dunque, anche sulle nostre esportazioni: non bisogna dimenticare che nei 21 maggiori Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente finisce quasi il 13% dell’export dell’area euro. Si tratta di 170 miliardi di euro. Solo in Egitto le esportazioni europee valevano nel 2014 ben 13 miliardi di euro. Non si tratta di cifre grosse, ma se si sommano all’effetto negativo del rallentamento cinese, russo e brasiliano, il problema per l’Europa aumenta. Per ora è impossibile prevedere l’impatto economico del terrorismo: nella storia molto spesso l’effetto è stato nullo. Ma questa volta il caos globale è veramente elevato. E prima o poi anche mercati anestetizzati dalla liquidità delle banche centrali potrebbero accorgersene.

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