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È una riforma per i giovani

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È una riforma per i giovani

Caro direttore, siamo molto lieti che il documento «Non per cassa, ma per equità» abbia suscitato l’interesse di molti autorevoli commentatori. Il nostro obiettivo era proprio quello di avviare un confronto informato su materie su cui molti legislatori hanno manifestato l’intenzione di intervenire nei prossimi mesi.

Il contributo da Lei ospitato ieri, a firma di Giampaolo Galli e Mauro Marè, per la sua ampiezza ci offre lo spunto per chiarire diversi aspetti della nostra proposta, rispondendo a rilievi mossi anche da altri. Non è vero, innanzitutto, che il pacchetto di proposte danneggerebbe i giovani. Al contrario, pensa al loro futuro per almeno quattro motivi. Primo, il pacchetto riduce il debito pensionistico, dunque i soldi che i giovani dovranno trasferire a chi riceve trattamenti (e vitalizi) molto più alti, in rapporto ai contributi versati, delle pensioni cui avrà accesso un domani chi inizia oggi a lavorare. Secondo, perché con le nostre proposte superiamo l'istituto delle ricongiunzioni onerose che penalizza chi ha carriere mobili (ad esempio fra pubblico e privato), come quelle sempre più frequenti nell'odierno mercato del lavoro. Nel caso in cui le nostre proposte venissero accettate, la ricongiunzione sarebbe possibile a costo zero. Terzo, perché permettendo ai lavoratori demotivati di ritirarsi dalla vita attiva si alleggeriscono i costi delle imprese e delle pubbliche amministrazioni, rendendole più efficienti e così in grado di creare lavoro. Permettendo a chi ha più di 63 anni di scegliere se continuare a lavorare oppure ritirarsi dalla vita attiva percependo una pensione più bassa (ricordo a Galli e Marè che le pensioni d’anzianità erano invece pensioni piene), si aumenta il benessere sia dei giovani che degli anziani. Chi rimane, infatti, è motivato a investire sul lavoro, trasferendo ai giovani le proprie conoscenze, diventando per loro un mentore. Quarto, perché istituendo per la prima volta un reddito minimo garantito in Italia, seppur per le famiglie con almeno una persona con più di 55 anni, senza gravare sulla fiscalità generale si creano le premesse per estendere questo istituto a tutti. Inoltre, si alleggerisce il peso della generazione “sandwich” che oggi deve mantenere sia i figli che i propri genitori.

Molti commentatori hanno osservato che un reddito minimo finirebbe per scoraggiare la ricerca di un impiego da parte dei beneficiari. Tuttavia alla famiglia che riceve il reddito minimo viene richiesta, secondo le nostre proposte, piena e immediata disponibilità all'impiego di tutti i familiari in età lavorativa, siano essi disoccupati o inattivi. E i lavoratori con più di 55 anni hanno comunque basse probabilità di trovare un nuovo impiego. Noi proponiamo di identificare chi davvero è in condizioni di povertà sulla base delle informazioni di cui l'Inps già oggi dispone su redditi e patrimoni mobiliari e immobiliari, anziché sull’appartenenza a questa o quella categoria scelta arbitrariamente dal decisore, magari per ragioni elettorali. Si può così migliorare la capacità dei nostri trasferimenti sociali di raggiungere davvero chi ne ha bisogno (oggi solo 3 euro su 100 vanno al 10% più povero della popolazione in Italia).

Il vero bersaglio di queste e altre critiche mosse al pacchetto è l’idea stessa di prevedere interventi sui trattamenti pensionistici in essere. Concordiamo sul fatto che questi interventi vadano il più possibile contenuti perché riguardano spesso persone che non sono più in grado di modificare i loro comportamenti, creandosi nuove opportunità di reddito. Per questo motivo nella nostra proposta gli interventi perequativi sono confinati ad una platea di circa 250.000 pensionati, anziché essere estesi a quei milioni di pensionati che si sono visti per molti anni (compreso il 2016 secondo la Legge di Stabilità in esame alla Camera) bloccare l’indicizzazione delle loro pensioni. Al di sotto dei 5.000 euro lordi al mese, peraltro, non proponiamo di andare oltre al blocco temporaneo dell’indicizzazione e questo blocco riguarda solo chi ha pensioni di più di 3.500 euro e ha ricevuto trattamenti più elevati di quelli legittimati da principi di equità attuariale. Questi principi ci dicono che, a parità di assegni mensili, anche piccole differenze nell’età dalla quale si comincia a percepire una pensione possono creare differenze abissali nel valore complessivo delle prestazioni. Inoltre, come ampiamente documentato nella sezione “A porte aperte” sul sito dell’Inps, l'età alla decorrenza è ciò che spiega maggiormente la differenza fra le pensioni effettivamente percepite e quelle che sarebbero giustificate alla luce dei contributi versati. Rinunciando a qualsiasi intervento sui trattamenti in essere non sarebbe possibile ridurre in modo significativo il debito pensionistico che grava sulle giovani generazioni. Inoltre sarebbe impossibile agire sui vitalizi per cariche elettive equiparandoli alle altre pensioni, come facciamo nelle nostre proposte.

Presidente Inps

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