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L’Europa si svegli e difenda la sua industria

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CONCORRENZA SLEALE

L’Europa si svegli e difenda la sua industria

Fermiamo l’orologio della Storia e torniamo al ’900, il secolo delle ideologie? E sorvoliamo sul fatto che la Cina (dal 2001 paese membro della Wto), passati 15 anni, può acquisire a fine 2016 lo Stato di Economia di Mercato (MES), la stessa “etichetta” che qualifica gli Usa e i paesi dell’Unione europea?

La risposte paiono scontate: due “no” tondi e scorrevoli come i fiumi dell’export cinese che vedono abbassarsi altre dighe, le misure antidumping per garantire una concorrenza leale. Da economia non di mercato, in transizione riformista per tre lustri, a economia di mercato. La storia avanza. E con essa la fine della difesa commerciale europea attraverso dazi e tariffe sull’import di prodotti cinesi.

In realtà la storia è più complicata. Le ideologie non c’entrano: dal 2001 il commercio tra Cina e Europa è cresciuto a dismisura e gli investimenti cinesi, geostrategici e no, soprattutto dopo lo scoppio della crisi da debiti sovrani, hanno trovato in Europa porte più che aperte (Italia secondo mercato di riferimento). Ma non è certo terminata la transizione riformista del Dragone, passaggio epocale all’incrocio tra modello comunista e mercatismo primordiale, dove la ricerca del profitto non ha ancora contrappesi adeguati in termini di diritti, protezione sociale e rispetto dell’ambiente. Da qui all’esercizio di una concorrenza sleale il passo è molto breve.

L’Europa, già a corto di una politica industriale coerente a dispetto della sua ossatura manifatturiera dove primeggiano Germania e Italia, non può distrarsi né vagheggiare fumose formule compromissorie. Lo “Stato di economia di mercato” assegnato alla Cina non è il traguardo finale di un automatismo normativo. E prima di abbassare le difese vanno messi sul piatto tutti i possibili impatti, compresi quelli potenzialmente distruttori di crescita e occupazione.

La Cina è una superpotenza e la partita è ad alta sensibilità politica. Ma anche i governi, a cominciare dall’Italia, devono esprimersi con chiarezza. Si chiama “interesse nazionale”.

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