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L’infrastruttura dell’innovazione è la cultura

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viaggio nell’italia che innova

L’infrastruttura dell’innovazione è la cultura

La corsa della storia sembra accelerare. Assorbita l’impressionante fioritura delle novità internettiane, il mondo si prepara ad accogliere i frutti della robotica e delle nanotecnologie, la sharing economy e i big data, la genetica e l’industria 4.0. L’innovazione sembra essere il percorso essenziale per stare al passo, per crescere, per creare occupazione, per cambiare ciò che non va e migliorare la vita della gente e del pianeta. Ma sono le persone o le organizzazioni a generare innovazione? Esiste l’innovatore solitario? Esiste l’organizzazione innovativa? E l’Italia: è un paese che innova grazie alle sue persone e nonostante la sua organizzazione?

I 400 miliardi di esportazioni italiane, cresciute negli anni della recente crisi, dimostrano che gli imprenditori italiani, a modo loro, innovano. Forse non lo fanno sempre seguendo i percorsi formali previsti da chi misura l’innovazione in termini di brevetti. Di certo, secondo l’ultimo rapporto dell’Onu, l’Italia non è in testa alle classifiche da questo punto di vista. Ma i prodotti che vincono a livello internazionale contengono probabilmente qualcosa di innovativo: altrimenti uscirebbero dal mercato e invece crescono.

La tentazione di pensare che le cose stiano bene come stanno è facilmente superabile. Se gli innovatori riescono nonostante il contesto, che cosa farebbero se si eliminassero le ragioni del “nonostante”? «Troppe regole soffocano l’innovazione» ha sostenuto Sergey Brin, cofondatore di Google. Certo, non è detto che meno regole la favoriscano. Piuttosto servono nuove regole. La disciplina sulle startup innovative, per esempio, introdotta dal governo italiano nel 2012, pur con i suoi difetti, ha avuto successo: le nuove imprese innovative sono quasi 5mila, per circa 20mila persone che ci lavorano. L’Italia ha confermato così di non essere priva di spirito imprenditoriale. Casomai deve ancora dimostrare di saper investire capitali significativi nelle startup e di saper connettere le nuove imprese innovative alle aziende già esistenti. Ma l’esperienza della legge a favore delle startup ha dato argomenti favorevoli a una quantità di policy, nazionali e locali, per contribuire all’innovazione, alla contaminazione tra settori, alla collaborazione tra università, scuole e imprese, ponendo le premesse per un ulteriore e più grande salto di qualità. I territori che sanno cogliere questa sfida storica conquistano un po’ di futuro.

L’Emilia Romagna, obiettivamente, è tra i territori italiani che sembrano rispondere meglio. In termini di numeri assoluti di startup, quel territorio è secondo solo alla Lombardia. Ma le iniziative per accelerare si moltiplicano: le fondazioni private che reinvestono nell’ecosistema dell’innovazione, le imprese forti che si rafforzano ulteriormente investendo in ricerca, le autorità locali che comprendono il proprio ruolo abilitante. La prima tappa del “Viaggio nell’Italia che innova” del Sole 24 Ore sarà proprio a Bologna e si potrà vedere quante imprese del territorio siano consapevoli della necessità di innovare, come si troverà il modo di valutare quanto la politica locale sia riuscita a migliorare le condizioni per l’innovazione. E l’evento servirà a raccogliere testimonianze e proposte da portare all’attenzione del governo per facilitarlo nel compito di comprendere come concretizzare i suoi annunci.

Ma alla fine ci si accorgerà probabilmente che l’innovazione dipende soprattutto dall’infrastruttura fondamentale: una cultura adatta a riconoscere la prospettiva che conduce al futuro e ad agire per costruirlo. La cultura di chi non si accontenta di come stanno le cose e non aspetta che le condizioni siano favorevoli. Le organizzazioni possono frenare, ma solo persone possono accelerare l’innovazione. Se c’è una persona che ha incarnato la cultura dell’innovazione, diventandone il testimone nel nuovo millennio, è stato Steve Jobs. In molti hanno tentato di comprenderne il segreto, indagandone la capacità di raccontare, il carattere burbero, il senso estetico, la tensione verso il miglioramento continuo, la passione per la tecnologia dal volto umano. Jobs ha detto che «non è compito del consumatore sapere che cosa vuole», in quanto un’innovazione è per definizione inattesa. Insieme al suo team si è preso la responsabilità di creare qualcosa di drasticamente nuovo e di proporlo al mercato. Ma la cultura dell’innovazione che Jobs ha alimentato non è l’atteggiamento acritico nei confronti delle novità. L’innovazione è il frutto di una ricerca che cambia il corso di una storia. È un cambiamento destinato a persistere nel tempo e a migliorare la vita. Sposta il limite del possibile. È una novità riconosciuta come importante. È una proposta accettata. Richiede l’incontro di chi innova con chi adotta. È il dialogo costruttivo tra una leadership culturale e un ecosistema che fa sua l’innovazione e non cessa di contribuire a trovarne il senso. Senza mai pensare che un successo passato sia la garanzia del successo futuro.

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