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Dal clima al terrorismo il ventre molle dell’Europa

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le analisi del sole

Dal clima al terrorismo il ventre molle dell’Europa

Dovrebbe essere il momento del grande riscatto globale dell’Europa, della sua rivincita culturale sei anni dopo la bruciante sconfitta di Copenaghen. Invece la nuova conferenza Onu sul clima, che si è aperta ieri a Parigi, rischia di fare ben pochi passi avanti. Per due ragioni.

Le evidenti cacofonie di interessi che continuano a dividere grandi e piccoli Paesi, industrializzati ed emergenti, ricchi e poveri non si sono molto attenuate. Nel frattempo però la leadership dell’Europa è impallidita alla prova della realtà. Troppe spaccature Est-Ovest. Troppi costi per la sua industria lanciata nella battaglia in solitaria quando per essere vincente dovrebbe essere globale. Pessimo, poi, lo scandalo dei motori truccati Volkswagen, la prova provata dell’eccesso di ambizioni ecologiche da parte del produttore leader dell’auto mondiale, in breve del gruppo e del Paese, la Germania, che si sono voluti da subito all’avanguardia dell’eco-innovazione planetaria: risultato, un servizio devastante alla credibilità della crociata europea. Fosse solo la questione climatica. L’Europa si presenta a Parigi letteralmente a pezzi, soffocata da crisi multiple, interne ed esterne, e soprattutto dall’incapacità materiale di coniugarle con la logica dei suoi grandi numeri. I quali da grande opportunità anti-crisi diventano il gran calderone di un’oscura crisi esistenziale totalizzante. Comunque la si guardi, oggi l’Unione appare il ventre molle di un mondo peraltro sempre più confuso e disordinato. Il terrorismo dell’Isis e le guerre afro-mediorientali in cui prospera non seminano soltanto paure e insicurezze ma scuotono le fondamenta delle sue democrazie, la tenuta del progetto europeo, la ripresa economica già poco dinamica. E così il disorientamento, che è forse l’unico sentimento che oggi accomuna davvero tutti, macina la cronaca impensabile del totally politically uncorrect. Dell’euro-mondo a rovescio.

Nel passato recente di attentati altamente e anche più mortali purtroppo ce ne sono stati anche a Madrid e Londra. Ma la Francia di Hollande è stata l’unica a dichiarare lo stato di emergenza (tre mesi), a chiudere le frontiere di Schengen a tempo indeterminato, a sospendere il patto di stabilità nonostante calcoli in 600 milioni i costi extra per la sicurezza. Forse perché è anche la prima democrazia europea a convivere con il Front Nationale al 40%, sembra. La Gran Bretagna di Cameron non perde l’aplomb, concentrata come è a rinegoziare nel peggior momento possibile i termini di adesione all’Ue per evitare Brexit. La Germania della Merkel si produce in incredibili acrobazie politiche per salvare la poltrona dall’emergenza rifugiati: ne tenta l’outsourcing sponsorizzando il ripescaggio della candidatura (da lei stessa congelata) della Turchia all’ingresso nell’Ue, la liberalizzazione dei visti per i suoi cittadini, l’erogazione di 3 miliardi di aiuti Ue, per cominciare. Tralasciando però qualche dettaglio: la svolta autoritaria del suo presidente Tayyip Erdogan, con repressione di libertà di stampa, di riunione, delle minoranze e qualche assassinio di troppo tra le personalità curde eccellenti. Involuzione in stridente contrasto con i valori europei fondamentali. Non contenta, il cancelliere non disdegna di organizzare dentro Schengen, che già sta implodendo tra i suoi troppi muri, un mini-club di 8 Paesi (Germania, Austria, Benelux, Finlandia, Svezia e Grecia) disposti ad accogliere nuovi profughi da smistare dai campi turchi. Le tensioni tra Erdogan e la Russia di Putin rischiano intanto di nuocere agli interessi economico-energetici tedeschi, di mettere in difficoltà la Nato fragilizzando la già improbabile coerenza della coalizione internazionale anti-Isis: dove la Francia, che la promuove, appare schierata con Putin per distruggere il Califfato ma non per salvare Bashar el Assad , la Germania si prodiga con cautela ma apre sul dittatore siriano, la Gran Bretagna si affida al voto dei Comuni, mentre l’America di Obama resta appesa alle sue troppe incertezze. Proprio quando lo yuan si appresta a entrare nel gruppo delle monete di riserva, il governo del mondo oggi appare l’arruffata sommatoria di tante debolezze. Dove quella europea ultimamente brilla purtroppo molto più di tutte le altre. Nonostante i crescenti pericoli che questo comporta.

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