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Il Papa «globale» dell’incontro con l’islam

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L'Editoriale|le analisi del sole

Il Papa «globale» dell’incontro con l’islam

Si è mosso sulle orme dei suoi predecessori, da Roncalli a Ratzinger, sui temi della pace e del rapporto con l’islam. Ha affrontato i mali dell’Africa, cercando di riportare un continente dimenticato al centro dell’attenzione mondiale. Ha incoraggiato le comunità cristiane.

L’eco di questo viaggio africano di Papa Francesco rimarrà. Non fosse altro che per la storica apertura di un giubileo fuori da Roma, in una sperduta periferia del mondo, a Bangui, in Centrafrica. Francesco si conferma come il papa delle periferie. Periferie storiche, geografiche ed esistenziali.

Il suo pontificato non ha un baricentro. Non è più l’Europa, che ha smarrito i suoi ideali. Non è l’America Latina, da cui proviene. Non è l’Asia, verso cui tende. Non è l’Occidente, col quale non si identifica, non sul piano del potere. Il viaggio africano conferma che nella visione di Francesco ogni luogo è un luogo legittimo e privilegiato per annunciare il Dio della misericordia. La sua è una missione globale in un tempo globale. Il tempo è superiore allo spazio. I luoghi diventano simboli. La Chiesa di papa Francesco non vuole occupare spazi o posizioni, vuole avviare processi che un tempo porteranno frutto.

«Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo»: ha detto poco prima di aprire la porta, divenuta santa, del nuovo giubileo. «L’anno santo della misericordia viene in anticipo in questa Terra. Una terra che soffre da diversi anni la guerra e l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace. Ma in questa terra sofferente ci sono anche tutti i paesi che stanno passando attraverso la croce della guerra… Per Bangui, per tutta la Repubblica Centrafricana, per tutto il mondo, per i paesi che soffrono la guerra chiediamo la pace!».

Il tema della pace ha punteggiato tutto il suo itinerario africano, dal Kenya all’Uganda, fino al culmine nella Repubblica Centrafricana. Pace come giustizia, di fronte alle forme di povertà, di sfruttamento, all’emarginazione urbana; pace come diritto alla vita, di fronte al commercio degli esseri umani, all’abbandono degli anziani, alla perversione indotta dalla cultura «dell’usa e getta» nelle giovani generazioni; pace come accoglienza dell’altro, di fronte al tribalismo; pace come testimonianza dei martiri cristiani, di fronte alla cristianofobia; pace come nome di Dio, di fronte a coloro che nel suo nome giustificano l’odio e la violenza.

A Bangui ha riassunto così i suoi numerosi interventi: «A tutti coloro che usano ingiustamente le armi di questo mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti di morte, armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace».

Senza la tappa finale nella Repubblica Centrafricana, il viaggio di papa Francesco sarebbe risultato monco. Qui ha fatto visita alla Moschea e ha parlato alle autorità religiose e ai fedeli musulmani. Se c’era un tema dove sin qui il suo pontificato non aveva usato accenti nuovi era proprio il dialogo interreligioso. Ma la storia ha le sue priorità. E oggi nell’agenda della Chiesa cattolica il rapporto con l’islam è divenuto una questione prioritaria. Non solo a motivo del terrorismo islamista. Questo semmai ne descrive l’urgenza. Ne fa percepire la necessità. Già nel suo viaggio in Turchia, nel novembre dello scorso anno, aveva affrontato la questione, indicando tre priorità per impedire che il dialogo abbia fine: oltre al dialogo teologico dobbiamo dialogare tra persone religiose di diverse appartenenze; dobbiamo impedire che i cristiani siano uccisi o cacciati dal Medioriente e da ogni altro luogo; sarebbe bene che tutti i leader islamici (politici, religiosi, accademici) condannassero ogni falsa interpretazione dell’islam e del Corano.

Il cristianesimo - aveva affermato il Concilio e Francesco lo ripete - non rifiuta nulla di ciò che nelle altre religioni è vero e santo; riconosce i semi di verità nelle culture e nelle religioni, per questo non può che cercare il dialogo, la convivenza e la condivisione di obiettivi di pace.

Per questo dalla Mosche centrale di Koudoukou, prima di salutare l’Africa, Francesco ha detto: «Tra cristiani e musulmani siamo fratelli. Dobbiamo dunque considerarci come tali, comportarci come tali. Sappiamo bene che gli ultimi avvenimenti e le violenze che hanno scosso il vostro paese non erano fondati su motivi propriamente religiosi… Dobbiamo dunque rimanere uniti perché cessi ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il Volto di Dio e ha in fondo lo scopo di difendere con ogni mezzo interessi particolari… Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio. Dio è pace, Dio salam».

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