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Quei costi indiretti degli attacchi parigini

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L'Editoriale|Più spese per militari e sicurezza

Quei costi indiretti degli attacchi parigini

Nonostante la mobilitazione dei parigini, che con puntiglio hanno cercato di continuare a vivere come prima, gli attacchi del 13 novembre hanno portato un colpo fortissimo all’economia della città. Anche se non ufficiali, le cifre sono preoccupanti. Il volume d’affari di bar, ristoranti e alberghi, è crollato del 30 per cento.

Per trovare cifre del genere bisogna tornare indietro agli attacchi delle torri gemelle del 2001, quando nel mese successivo il settore del turismo di New York aveva subito una contrazione del 40% (ma allora gli spazi aerei erano stati chiusi a lungo). Cifre simili erano state riportate a Londra nel 2005, colpita fra l’altro in luglio, in piena stagione turistica, e a Madrid nel 2004.

Ma questo triste elenco consente anche di relativizzare la perdita per il turismo di Parigi, perché in tutti i casi precedenti le conseguenze per l’economia della città erano state di breve durata. Il passato ci insegna anche che gli effetti macroeconomici di choc di questo tipo sono abbastanza limitati. L’economia americana rimbalzò già nel quarto trimestre del 2001, e la ripresa fu rapida anche per la Spagna nel 2004 o per il Regno Unito nel 2005. Più recentemente, l’attacco contro Charlie Hebdo nel gennaio scorso è stato seguito da una robusta crescita dei consumi francesi nel primo trimestre 2015. La purtroppo abbondante esperienza degli ultimi anni ci insegna insomma che, nonostante l’impatto mediatico, gli atti terroristici hanno effetti molto limitati sull’economia. Questo dovrebbe tranquillizzare il ministro Padoan, che ha affermato di temere ripercussioni per la già fragile ripresa italiana.

Si può ritenere però che la nuova situazione influenzerà la politica economica a livello europeo. In molti hanno per esempio osservato come gli attacchi rendano più probabile un potenziamento del quantitative easing della Bce, in dicembre. Ma si dimentica che a causa delle difficoltà per l’economia europea, tale potenziamento era già previsto (anche da Mario Draghi) fin da settembre. Altri hanno invece sottolineato come la Francia abbia immediatamente chiesto una deroga al patto di stabilità per quel che riguarda le spese aggiuntive legate a difesa e intelligence. Ma anche qui, qualche dubbio è lecito. È certamente vero che l’escalation militare in medio oriente, sulla cui pertinenza ed efficacia molti nutrono dubbi, potrebbe essere un ennesimo caso di “Keynesianesimo militare”, vale a dire di impulso alla crescita derivante da spesa pubblica legata alla difesa. Ma è anche vero che stiamo parlando di pochi decimali di punto di Pil, nulla di comparabile per esempio allo sforzo bellico americano in Afghanistan che seguì agli attentati delle torri gemelle. Come già per le spese legate all’afflusso di rifugiati, invocate anch’esse per avere più flessibilità, si tratta di cifre che non segnalano quel cambiamento radicale della politica fiscale in Europa che molti di noi hanno a più riprese invocato, e che sarebbe il benvenuto sia pure in circostanze così drammatiche.

Per concludere, sembra improbabile che gli attacchi del 13 novembre abbiano effetti significativi, né che possano causare un cambiamento rilevante della politica macroeconomica europea. Questo non significa però che non avranno un impatto, negativo. I veri costi economici sono altri, e sono difficili da quantificare. Come ci insegna il lavoro di Joe Stiglitz sulla misura del benessere, non tutto ciò che fa aumentare il Pil fa anche aumentare l’utilità collettiva. L’esempio tipico è la ricostruzione che segue una catastrofe naturale come un terremoto, che ha un effetto positivo sull’attività economica, ma che nel migliore dei casi può solo ripristinare il livello di benessere precedente alla catastrofe. È lecito attendersi che i paesi europei, come in passato gli Stati Uniti, aumentino gli investimenti pubblici in settori legati alla sicurezza (dalla formazione di polizia e intelligence, alla messa in sicurezza degli edifici pubblici, etc.). Ma possiamo dire che queste spese o l’escalation militare già in corso, destinate a far fronte alla minaccia terroristica, avranno un effetto positivo sul benessere? O non si tratta piuttosto di spese che, pur rilanciando la crescita, avranno un impatto nullo sulla nostra qualità di vita? Anzi, se effettuate nel quadro esistente di vincoli alla politica fiscale, queste spese rischiano di sottrarre risorse ad altri settori rilevanti per il nostro benessere collettivo, come istruzione, sanità, infrastrutture. È in questa possibile riallocazione delle risorse, oltre che nel doversi abituare ad una quotidianità militarizzata, che si nasconde il rischio maggiore della triste epoca inaugurata il 13 novembre.

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